Aiguille de Rochefort e Dôme de Rochefort

Aiguille de Rochefort 4001 m – Dôme de Rochefort, 4015 m. Traversata per la Cresta di Rochefort (Val Ferret).

Caratteristiche: Il fatto che sia una delle creste di alta montagna più fotografate delle Alpi rende giustamente merito alla componente estetica di questo itinerario e ne fa a pieno titolo una delle gite classiche d’alta quota più consigliabili nel gruppo del Monte Bianco. La cresta, solitamente percorsa solo fino all’Aiguille de Rochefort, se compiuta integralmente riserva un’ascensione mista molto lunga, completa e tutt’altro che monotona. Avvicinamento su facile ghiacciaio e poi su infido terreno di rocce e sfasciumi, o misto con ghiaccio e neve, La Gengiva, che richiede molta attenzione per la caduta di sassi, soprattutto quando diverse cordate sono contemporaneamente in movimento e in presenza di neve fresca. Quindi lunga cresta prevalentemente nevosa, ad andamento grosso modo orizzontale ma con numerosi saliscendi e dei tratti molto affilati ed esposti, a volte ripidi e con cornici, che richiedono molta concentrazione. Tratti finali di roccia per salire entrambe le sommità. Itinerario impegnativo e faticoso, nonostante lo scarso dislivello, che va ripercorso al ritorno.

Difficoltà: AD

Dislivello: in totale 800 m, contando i numerosi saliscendi

Carte: IGM 1:25.000 f. 27, Monte Bianco; IGM 1:25.000 f. 28, La Vachey; IGN 1:25.000 f. 3630 OT, Chamonix; CNS 1:50.000 f. 46, Courmayeur.

Accesso: Aosta, Courmayeur, Entreves, partenza della funivia dei Ghiacciai a La Palud.

Avvicinamento: Partenza dal Rifugio Torino, 3370 m, dove si giunge in funivia da Courmayeur. L’inizio della cresta è alla base dello spigolo sud-ovest del Dente del Gigante.

Salita: Dal rifugio traversare l’amplissima sella del Colle del Gigante, costeggiare le Aiguilles Marbrées e risalire in direzione nord-est la rampa del ghiacciaio che va a morire contro il promontorio roccioso (caratterizzato da una notevole guglia a sinistra) che costituisce l’attacco della Gengiva. Salire il canale che lo solca al centro (45-50°) o aggirarlo per le rocce articolate alla sua sinistra (ovest) e seguire poi il promontorio innalzandosi sul pendio ripido di rocce miste a neve o verglas, senza via obbligata, cercando i passaggi migliori a seconda delle condizioni. Conviene stare piuttosto sulla destra dove il terreno è più ripido ma più solido (passi di II). Evitare in ogni caso di percorrere i canali di sfasciumi in apparenza più facili e più diretti, molto pericolosi per la caduta di sassi. In alto puntare ad un caratteristico obelisco aggettante che va aggirato a destra. Mettere piede su una cresta di rocce rotte e neve lungo la quale, contornando altri piccoli torrioni, si giunge ad un ripiano ai piedi dello spigolo sud-ovest del Dente del Gigante (2.30 ore dal rifugio). Qui ha inizio la cresta, nella prima parte completamente nevosa. L’anticima dell’Aiguille de Rochefort, q. 3933, si aggira a sinistra discendendo un ripido pendio nevoso o ghiacciato (in cattive condizioni può essere necessaria una corda doppia, di solito attrezzata). Percorrendo sottili crestine nevose e aggirando aerei spuntoni giungere alla base della tozza vetta dell’Aiguille de Rochefort. Percorrere una cengia ascendente a destra, attraversare un canale roccioso con qualche passo in discesa, quindi salire a sinistra uno speroncino e poi delle placchette fessurate. Andare nuovamente a destra a prendere un canale di roccette che esce a poca distanza dalla vetta (4001 m, due o tre tiri di II+, 2-2.30 ore dalla base del Dente del Gigante). Dalla vetta scendere la ripida e nevosa cresta nord-est verso il M. Mallet giungendo ad un’ampia sella, q. 3895. Attraversarla e riprendere la cresta che torna ad essere estremamente affilata. Scalare un roccione di pochi metri con un passo non banale lungo una breve fessura (IV, uno spit con majon ad una cengetta ormai sopra il passaggio), nel seguito aggirare a sinistra il caratteristico torrione del Doight de Rochefort e continuare sulla sottile cresta nevosa fino alla piramide del Dôme. Scalare su misto facile uno speroncino alla destra di un canale che in alto va attraversato a sinistra. Da qui innalzarsi fino alla cresta sommitale (II+) a poca distanza dalla vetta del Dôme de Rochefort, 4015 m (1.30-2 ore dall’Aiguille, totale 6-7 ore).

Discesa: Per la stessa via di salita (5-6 ore al Rifugio Torino).

Qualcuno lassù pensa a me

Tornati gasati dal successo dell’Aletschhorn, propongo ad Ale di tentare il Dôme de Rochefort. Così, dopo un paio di settimane siamo a pernottare al Rifugio Torino. Dispiaciuto per la dimenticanza della fotocamera, mi sento tuttavia rinfrancato dai migliori auspici: una finestra di bel tempo, buon stato di forma, condizioni ottimali della via. Il fornelletto sibila per la cena da consumare nella tranquilla salle a manger, fuori dal casino del self service.

La partenza dal rifugio è un tantino inquietante. Ci accoglie infatti la nebbia, in una notte senza luna, e non ci resta che seguire con fiducia la profonda traccia, turbati dal dubbio che le previsioni abbiano ciccato.                                  

Ai piedi della Gengiva, mentre la visibilità migliora, ci dirigiamo fiduciosi verso il canalino dal quale solitamente si attacca. Lo risaliamo su della vecchia neve gelata, scoprendolo interrotto a metà da un profondo crepaccio, che oltrepassiamo con molta circospezione. Più su girovaghiamo un bel po’ tra roccette e colatoi, tuttavia, favoriti dal terreno compattato dal gelo, superiamo rapidamente la Gengiva tanto che giunti all’inizio della cresta di Rochefort attendiamo una buona mezz’ora che faccia chiaro. Il meteo nel frattempo si è ripreso. A poco a poco l’alba illumina le rocce del Dente e le ondulazioni della cresta che si disegna nitida e candida dinanzi a noi.

Ci rimettiamo in cammino consapevoli della lunga prova di resistenza e concentrazione che ci attende. Raramente alzeremo gli occhi dai ramponi. All’anticima della Aiguille de Rochefort troviamo il ripido pendio in ghiaccio vivo, benché parzialmente gradinato e protetto da una corda fissa. Alle prese con il castello roccioso dell’Aiguille de Rochefort perdiamo un po’ di tempo cercando di individuare il diedro canale che conduce in vetta.

Giunti sull’Aiguille, scendiamo dalla facile dorsale nella successiva ampia sella nevosa dove ci concediamo finalmente un momento di vero relax. Ripresa la cresta, poco oltre incappiamo in un inatteso saltino roccioso inciso da un’infida fessura dai bordi arrotondati, non aggirabile: dopo qualche tentativo, mi rassegno a togliere i ramponi per impegnarmi in un passaggio niente affatto banale.

Poi ricominciamo il gioco di equilibrio sulla cresta di neve, sempre stretta, esposta e con cornici, fino alla piramide terminale del Dôme, di misto, che saliamo ormai molto stanchi. Dalla vetta le Jorasses troneggiano dinanzi a noi e, tutto attorno, uno spettacolare circo di vette risplende nell’azzurro. Siamo soli ad assaporare il fugace momento di beatitudine.

Ora è tutto da rifare all’inverso. Discendere in sicurezza la fessura sul saltino roccioso ci porta via un po’ di tempo. Risaliti all’Aiguille e scesi con tre brevi doppie le rocce sommitali ci sentiamo già quasi a casa.

In un caldo torrido, ci concediamo finalmente una sosta sotto il Dente del Gigante. Da qui stanno calando in doppia una sfilza di cordate. E’ già metà pomeriggio e l’ipotesi di acchiappare l’ultima funivia per un rientro in giornata sfuma. In ogni caso al rifugista abbiamo chiesto di tenerci i posti per una seconda notte.

Mentre brancoliamo sulla Gengiva alla ricerca del percorso seguito nella notte, che ci è parso abbastanza sicuro, improvvisamente ci investe una scarica di sassi smossa da quelli sopra di noi. Una pietra grossa come un meloncino mi colpisce alla scapola sinistra. Ma qualcuno lassù pensa a me, perché tra la pietra e la scapola ad attutire il colpo c’è la piccozza che ho infilato di traverso nello spallaccio dello zaino. Mi sento un superstite sfuggito casualmente alla lapidazione e sono piuttosto scosso. Penserò a lungo a questa fortuita combinazione. Giunti senza altri patemi al ghiacciaio, finalmente la pace, i passi lenti uno dopo l’altro, mentre il tramonto accende tutti i suoi colori sul rassicurante e piatto Ghiacciaio del Gigante.

Al Torino, dopo più di 17 ore dalla partenza, tolti ferramenta e scarponi, avvertiamo il gestore del nostro ritorno e confermiamo il pernottamento. Ma alla richiesta di un piatto caldo risponde che il ristorante è chiuso. Non avendo mangiato nulla, la nostra ‘razione K’ di oggi è praticamente intatta. Così, dopo un’oretta di riposo, scendiamo con calma nella salle a manger con un bel boccale di birra. Il sibilo del fornello, l’acqua che bolle e dinanzi a noi il profilo severo della cresta di Peuterey.

E qui ammetto con me stesso che non potrei annoverare questa salita tra le mie gite da sogno. Se mai il sogno si volgerebbe immediatamente in incubo: il rumore dei sassi, lo sguardo che scatta verso l’alto, la terrificante visione delle pietre che senza rumore precipitano verticali e sempre più vicine, la testa che si incassa istintivamente tra le scapole e poi la bastonata. In verità, anzi, fissando ora il Monte Bianco, mi viene da sognare l’azzurro del mare.

2-4 agosto 2016

Cresta e Aiguille de Rochefort