La traversata sciistica delle Pennine, che si estendono dal Col Ferret al Passo del Sempione, include la Haute Route e il Mezzalama, raid tra i più spettacolari e rinomati delle Alpi, e prosegue con lo scavalcamento dell’Adlerpass, per concludersi, con percorso poco evidente, al Sempione. Gli estesi ghiacciai e l’alta densità di “4000” ne fanno un itinerario molto remunerativo e insieme complesso e impegnativo per la quota media elevata, le difficoltà di orientamento e quelle alpinistiche.
Malatrà e Gran San Bernardo
Pasqua 2006. La traversata da Planpincieux a Bourg Saint Bernard attraverso i colli Malatrà e Gran San Bernardo si rivela un ottimo itinerario per raggiungere da Courmayeur la prestigiosa Haute Route.
Portata una delle auto a Etroubles, con l’altra raggiungiamo La Palud, e con il bus navetta raggiungiamo Planpincieux. Al dolce fondovalle della Val Ferret segue la salita da La Vachey nel rado bosco di conifere fino al Rifugio Bonatti, costruito su una stupenda balconata naturale. Dal tetto, movimentato da curiosi abbaini, la neve gocciola copiosamente nel caldo pomeriggio. Al mattino il sole fa in tempo a sorgere sul Bianco e sulle Jorasses prima che le cime vengano man mano coperte dalle avvisaglie della perturbazione. Sinuosi avvallamenti, poi l’intaglio del Colle di Malatrà, mentre il cielo scurisce. Scendiamo su pessima neve il ripido pendio verso la Comba di Merdeux, quindi il sottostante vallone, e solo al parcheggio di Crevacol inizia a piovigginare.
Dopo la notte a Echevennoz, all’ora della sveglia non piove più. Messi gli sci a Saint Remy, le montagne appaiono ricoperte di neve fresca. Dopo l’inusuale passaggio nel paravalanghe, con le feritoie semicircolari parzialmente ostruite dalla neve, giungiamo con il sole al colle del Gran San Bernardo. Dai tetti spioventi dell’ospizio ogni tanto scivola giù una piccola slavina. Il Mont Velan fa da sfondo alla breve discesa verso Bourg Saint Bernard, brusco rientro nel mondo degli impianti e delle piste.
L’Haute Route da Bourg Saint Pierre a Zermatt
Ho progettato di innestarmi sulla “variante alpina” della celebre Haute Route a Bourg Saint Pierre, poco lontano dall’arrivo della sezione precedente, tentandola durante il ponte del 25 Aprile: il meteo promette bene e i compagni non mancano. Dalla fermata dell’autobus a Bourg Saint Pierre ci incamminiamo sci a spalle sulla strada chiazzata di neve che sale a La Delise e poi all’Alpe Bas, dove calziamo gli sci, diretti alla Cabane de Valsorey. In una strettoia l’assenza di neve ci obbliga a costeggiare senza sci il torrente che spumeggia tra enormi massi. Nell’ultimo ripido tratto non tira un filo d’aria ed è u9na sofferenza per tutti. Raggiunta la Cabane de Valsorey si apre una splendida visuale sull’omonimo Combin a picco sulle nostre teste e sul temuto pendio-canale che conduce al Plateau du Couloire.
Al mattino il pendio-canale è in ottime condizioni e ben tracciato; il successivo aereo traverso in vista del rosso bivacco Musso, appollaiato su un ardito becco roccioso, offre uno scorcio spettacolare sul M. Velan e sul lontano M. Bianco. Scavalcato il Colle Sonadon scendiamo sul Glacier du Mont Durand. Qui Alberto spezza uno dei suoi costosi e leggeri bastoncini al carbonio poco sopra la rondella. Lo rappezziamo al meglio con del nastro americano. Ondulazioni in lieve salita ci conducono al passaggio della cresta del Mont Avril, altro punto panoramico di grande respiro da cui scendiamo nella Val de Chermontane. Dopo aver rimesso le pelli per la quarta volta arriviamo alla Cabane de Chanrion. Qui cerchiamo un’alternativa al malconcio bastoncino di Alberto, ma non troviamo altro che un vecchio arnese senza rondella e senza punta usato per disintasare i bagni. Lo ripuliamo al meglio nella neve e, maneggiandolo con cura, vi fissiamo la rondella rinforzando il tutto con il solito nastro. Funzionerà benissimo.
L’alba di lunedì ci coglie nel tortuoso canyon che dà accesso al Ghiacciaio d’Otemma, dove confluiscono grandiose cascate in cui si miscelano flussi azzurrognoli e colate marroni. Il ghiacciaio è placidamente adagiato tra basse morene e stagni gelati nei quali si riflettono le cime delle montagne arrossate dal primo sole. Oltrepassata la Becca d’Epicoun, la Tseuca e la Singla, traversiamo l’ampio Col du Petit Mont Collon e giungiamo al successivo Col de l’Eveque sotto la rocciosa vetta omonima e a poca distanza dalla scintillante cresta nevosa della Becca d’Orén. Rapidamente tocchiamo il Col Collon e quindi il Rifugio Nacamuli, mentre dalle nubi che hanno inghiottito le montagne iniziano a cadere lenti fiocchi di neve. Forse la finestra di bel tempo si sta già richiudendo? Il rifugio è strapieno: “overbooking”, film già visto. A tavola siamo così stipati da non riuscire a portare il cucchiaio alla bocca. C’è un unico bagno in lamiera per più di 80 ospiti, scoperchiato da qualche bufera, eretto ad una trentina di metri dal rifugio su delle roccette innevate, su cui pendono due frusti spezzoni di corda. Dopo ogni inevitabile spedizione al bagno ci congratuliamo per essere sopravvissuti.
L’aurora sorge livida su 15 cm di neve caduti nella notte. Al Col Collon viene giù qualche fiocco e la visibilità sta scemando. Confortati dalla numerosa compagnia, piuttosto che tornare al Nacamuli preferiamo tentare anche noi la traversata. In discesa dal Colle di Mont Braulè e poi lungo il Ghiacciaio di Tsa de Tsan procediamo come se inseguissimo i fantasmi. Sbuchiamo infine sul Colle di Valpelline, buoni ultimi, con una visibilità inferiore a 20 metri. Sullo Stokij Gletscher ci affidiamo ancora alle tracce di chi ci ha preceduto e poi ad alcuni paletti di segnalazione che, per quanto incongrui, sono i benvenuti. Le nubi si assottigliano e ad un tratto appare la tetra parete Ovest del Cervino, quasi a suggellare la riuscita della cruciale tappa. Tra sprazzi di sole puntiamo alla confluenza con il Shonbielgletscher e ne risaliamo le morene in direzione della Shonbielhütte, abbarbicata su un aereo spalto verde. Assaporiamo l’agio e la tranquillità di un buon rifugio, senza assilli per l’indomani.
La mitica nord del Cervino, tozza e appiattita dalla prospettiva, e poi i regolari calanchi di erosione nell’interminabile morena laterale, simili al costato di un colossale dinosauro, ci accompagnano nella discesa verso Zermatt. I primi alberi, gli alpeggi e poi la risalita con gli impianti dal Furi, per finire con la lunga sciata dal Klein Matterhorn a Cervinia che si conclude dinanzi ad un gran boccale di birra. La mattina si chiude su un comodo autobus di linea per Chatillon.
Da Cervinia a Stafal, sulle tracce del Mezzalama
Sfumata la possibilità di proseguire la settimana seguente, con la neve agli sgoccioli rimandare significa saltare all’anno successivo. Questo è il gioco. Nel 2007, fino a primavera le Pennine restano senza neve, con creste e pendii resi insidiosi da affioramenti di ghiaccio. Occorre attendere l’inizio di Aprile perché qui nevichi. Prenotati i rifugi per il week end di metà Aprile, previsto al bello stabile, la domenica giungiamo in autobus a Cervinia. Saliamo con gli impianti a Cime Bianche e da qui in sci al Rifugio Guide del Cervino. Il fresco della sera ci ricaccia tra le confortevoli pareti della capanna, in compagnia di alcuni atleti in allenamento per il Trofeo Mezzalama, che si disputerà proprio il 29 di questo mese, e di una borraccia di buon dolcetto.
Alle prime luci siamo sulla via normale del Breithorn. Atleti in giro non se ne vedono: uno dei pregi di andar forte è che ti puoi alzare tardi. Dalla vetta dell’Occidentale traversiamo alla cima del Centrale. Divallati al colle omonimo percorriamo con leggeri saliscendi il Grande Ghiacciaio di Verra fino all’imbocco di un largo corridoio glaciale, solcato da tracce recenti, che conduce sul ramo inferiore del ghiacciaio. Scendendo, scopriamo che il canale è crepacciato ed esposto al tiro dei seracchi. Occorre toglierci in fretta di lì. Ma, in sequenza, a due di noi si stacca uno sci. La sosta forzata ci consente di assistere allo spettacolare crollo di un enorme seracco sotto la Gobba di Rollin di fronte a noi. Brutta coincidenza e infausto presagio. Il passaggio finale, sotto un’alta torre di ghiaccio quasi totalmente staccata, ci fa rizzare i capelli. Giunti al Rifugio Guide d’Ayas, mi sento d’improvviso svuotato, incapace di decidere cosa fare prima: cambiarmi, riporre le attrezzature, ordinare una birra, far asciugare le pelli, mangiare, stendere al sole gli indumenti bagnati, buttarmi sulla cuccetta?
Al mattino ripercorriamo il corridoio glaciale e dal col di Verra saliamo alla terminale del Castore. Mentre ci leghiamo e calziamo i ramponi veniamo superati da due coppie di atleti che salgono di corsa la ripida traccia che conduce sulla crestina finale. Leggerezza e fluidità. Il percorso del breve aereo displuvio, estetico ed emozionante, compensa qualsiasi frustrazione. Discesa la facile cresta sud est ci riuniamo sul ripiano che precede la Punta Felik, da cui si dirigono a valle numerose tracce. Le seguiamo, ignorando i solchi che risalgono la modesta sommità. Dopo un invitante valloncello, le tracce tagliano il pendio sud della Punta Felik, ripido, ghiacciato e esposto su un salto di roccette. Proseguo con cautela per dare uno sguardo, ma più mi ci inoltro, peggio è. Fare dietrofront o calzare i ramponi è più rischioso che non ultimare il traverso sulle lucide rotaie. Grido agli altri di mettersi i ramponi. Una brutta sensazione. Incrocio le dita e vado. A fine corsa mi imbatto nella via “normale” che, scavalcata la Punta Felik, scende assai più dolcemente. Sopraggiungono una guida con cliente e si fermano ad aiutare i compagni. Anch’io, calzati i ramponi, risalgo per dare una mano. Alla fine giungiamo tutti interi al Rifugio Sella, amareggiati per l’errore di valutazione. Benché avessimo studiato carte e relazioni, la falsa sicurezza indotta dalle tracce e l’accattivante comodità di seguirle hanno avuto il sopravvento. Pessime consigliere, su un itinerario che, a torto, ritenevamo di poter fare a occhi chiusi.
Il falsopiano del Ghiacciaio di Felik ci accoglie il mattino sotto l’ombra azzurra dei seracchi, mentre un elicottero deposita sul percorso le cupole di plexiglas che ospiteranno i punti di controllo per la gara. Giungiamo sul passo del Naso salendo in ramponi l’ultimo pendio di neve gelata. Incrociate poi le piste del Col del Lys, scendiamo ai rifugi Gnifetti e Mantova da cui ci tuffiamo in un divertente canale tutto gobbe. Peregriniamo su mulattiere innevate verso l’Alpe Indren e l’Alpe Gabiet, seguiamo quindi le piste fino alle ultime lingue di neve Per sterrata e sentiero arriviamo infine a Stafal. L’autobus per Pont Saint Martin parte fra poco.
Da Alagna alla Monte Rosahütte
Quest’anno vorrei proseguire almeno fino alla Monte Rosahütte. Non c’è molto tempo, tenuto conto che il 30 aprile l’impianto di Indren chiude per essere smantellato, complicando così l’avvicinamento ai rifugi Mantova e Gnifetti. La domenica successiva sopraggiunge però il maltempo: con le prenotazioni già fatte bisogna rinviare tutto proprio al week end del Trofeo Mezzalama. Trovo posto al Rifugio Mantova nell’ultimo giorno utile. Per i giorni successivi le previsioni sono incerte, ma c’è posto sia alla Monte Rosahütte, sia alla Britannia Hütte.
Lasciata l’auto ad Alagna e saliti a Punta Indren con una delle ultime corse, Alberto e io ci avviamo mentre inizia a nevischiare. Presto siamo avvolti da una discreta tormenta e troviamo il Rifugio Mantova semivuoto. All’ora di cena il cielo è sgombro e tutto intorno scintilla la neve nella calda luce del tramonto.
Lasciamo il rifugio al primo chiarore, accodandoci più su agli scialpinisti che dalla capanna Gnifetti sono in gran parte diretti alla punta omonima. Sullo spartiacque è sereno, ma da valle le nubi salgono a lambire le cime. Abbandonata la traccia principale ci dirigiamo all’ampio panettone nevoso della Pyramide Vincent, che calchiamo in un’atmosfera irreale, con i vapori che a tratti lasciano d’improvviso scoperte, sopra un mare di nebbie, le cuspidi del Lyskamm e della Dufour e la cresta che collega il Corno Nero alla Gnifetti, la cui precipite parete sud est offre scorci straordinari. Riprendiamo la traversata scorrendo tra Balmenhorn e Corno Nero sotto una leggera tormenta fino al passaggio del Col del Lys. Il Grenzgletscher è al sole e per brevi istanti fan capolino la Dufour, la Zumstein e la Gnifetti. Transitiamo ai piedi della celebre nord del Lyskamm lungo solchi evidenti sotto la spanna di neve caduta nella notte. Quando il maltempo sopraggiunge nuovamente, ringraziamo la presenza delle tracce che serpeggiano tra infidi buchi appena mascherati dalla neve, che l’opaca luminosità della nebbia non aiuta a discernere.
Arriviamo alla Monte Rosahütte tra fiocchi di neve e un debole sole. Interpello il custode sull’eventuale proseguimento a Saas Fee. Ma le previsioni meteo non ci lasciano speranze. All’alba il cielo è coperto. Data la complessità del percorso, decidiamo di rinunciare e rientrare via Zermatt e gli impianti. Disceso a piedi il pendio morenico sotto la capanna, sul Grenzgletscher calziamo gli sci seguendo vecchie tracce, finché la neve termina lasciando scoperto un terreno tormentato di ghiaccio granuloso. Nel sormontare un angusto dosso, ancora con gli sci ai piedi, scivolo e mi trovo bocconi a cavallo di due profondi infossamenti, uno sci di qua e uno di là. Mi rimetto in piedi, non so come.
Dalla base del Gornergrat una traccia rimonta lo scosceso versante tra terriccio franoso e placchette bagnate. Dal sentiero che conduce alla stazione di Rotenboden osserviamo il Gornergletsher, sulla cui superficie si materializzano onde gigantesche e conche colme di rigagnoli e laghetti, allontanarsi sempre più in basso. Ci voltiamo ogni tanto a studiare il percorso verso l’Adlerpass che avremmo voluto salire oggi, le montagne incappucciate di nuvole e il bastione della Nordend grigio come un tetro castello.
Quest’anno la storia finisce con il recupero dell’auto ad Alagna.
Traversata Monte Rosahütte – Saas Fee
Primavera 2008. Purché non lo tormenti più con l’ossessione della traversata a Saas Fee, Ezio si offre di accompagnarmi, decida io quando e come. L’itinerario comporta uno spostamento di una ventina di chilometri dalla Monte Rosahütte alla Britannia su ghiacciai vasti e crepacciati, dove l’individuazione del percorso può rivelarsi problematica. Inoltre, il ripido ed esposto pendio dell’Adlerpass va affrontato solo in condizioni ottimali. Si tratta di cogliere il momento favorevole.
Solo a metà Aprile ottengo il “via libera” dalle guide di Zermatt. Si deve partire subito perché gli impianti di Cervinia, indispensabili per raggiungere rapidamente la Monte Rosahütte, sono aperti solo fino al 27 Aprile. A Ezio si aggiungono Paolo e Alberto. Giungiamo con i mezzi pubblici a Cervinia e con gli impianti saliamo al Plateau Rosa. Calziamo gli sci, lasciamo le piste all’altezza del Colle del Theodulo e discendiamo l’Unter Tehodulgletscher. Tantissime tracce e meravigliosi seracchi sotto la parete nord del Breithorn. Messo piede sul Gornergletscher, ne iniziamo la lunga risalita. Visto dall’interno lo scenario è davvero formidabile e nel percorrere le immani onde di ghiaccio che osservavo un anno fa salendo a Rotenboden l’emozione è forte. Ora c’è molta più neve e anche il Grenzgletscher è ben coperto. Il tempo è splendido, solo un po’ di vento in quota e isolati sbuffi di vapori violetti impigliati nelle cime più alte. Davanti alla Monte Rosahütte, nel tepore del pomeriggio, il consueto colorato affollamento. I nuovi gestori, una giovane coppia che indossa cappellini di lana e occhialini neri molto “trendy”, ci guardano un po’ come marziani e non sanno dirci se il nostro itinerario sia già tracciato, se vi siano altri che intendono percorrerlo, in che condizioni si trovi il passaggio della cresta. Simpatici e affabili, ma decisamente poco esperti. Evidentemente qua la gente passa e va, come in un albergo, tutti molto sicuri o magari un po’ incoscienti, e ciascuno si fa i fatti propri.
Col buio ci incolonniamo sul classico itinerario della Dufour, che poi abbandoniamo per attraversare il Monte Rosagletscher. E’ l’aurora. Il punto di riferimento è un’elevazione della cresta rocciosa, propaggine della Nordend, che va scavalcata. Avvicinandoci, si inizia a distinguere un sistema di cenge. Scorgiamo poi delle corde fisse e, al culmine, una palina di segnalazione. Nel frattempo, sul gobbone glaciale del Monte Rosagletscher, scorgo una cupola luccicante, simile a un enorme corpo metallico che rifletta la luce del sole che ancora non c’è. Rimango sorpreso. Poi riconosco un’enorme mezza luna che sta sorgendo. Nel suo lento salire si stacca dal dosso nevoso e prende a costeggiare il profilo della cresta del Lyskamm fino a sovrastarne la cima, come guidata dalla mano sapiente di uno scenografo d’eccezione. E proprio in quell’istante il primo raggio di sole si posa sulla vetta del monte. E’ il momento magico dell’arrivo al passaggio chiave, dove sento sciogliersi i nodi del complesso itinerario: ora non vi saranno più ostacoli.
Al colletto, raggiunto sci a spalle con qualche rude passaggio, calziamo gli sci e scendendo in diagonale ci portiamo sull’alto plateau del Gornergletscer, un’immensa distesa bianca e ondulata. A dispetto delle attese, fortunatamente il percorso non è un terribile labirinto di crepacci, anzi appare abbastanza evidente. Solo le distanze non ingannano: la vastità del ghiacciaio è impressionante. Con un semicerchio transitiamo sotto l’imponente edificio che sostiene il ghiacciaio pensile della Nordend, un paesaggio di bruschi contrasti, dai dolci declivi nevosi agli aspri speroni rocciosi. Superato in profondità lo Stockhorn, punto culminante del Gornergrat, il ghiacciaio si appiattisce nella larga sella dell’omonimo passo, da cui si innalzano verso la cima di Jazzi ampi pendii glaciali che risplendono argentei in controluce. Da qui la vista si apre sull’Adlerpass, evidente varco naturale tra il Rimpfishhorn e lo Stralhorn, cui adduce uno scivolo nevoso steso sopra una caratteristica fascia di roccette. Dopo la breve discesa sul piatto Findelgletscher prendiamo a salire gli oltre 600 metri che mancano. Al piede della cresta SE del Rimpfishhorn, dove si è formato una sorta di canale, la pendenza si accentua e calziamo i ramponi. In discesa, sull’altro lato, si va veloci lungo il pistone che sale allo Stralhorn. Dinanzi a noi l’Allalinhorn, più lontani la Weissmies e il Lagginhorn. Al ripiano glaciale sotto la Britannia Hütte rimettiamo un’ultima volta le pelli. Giunti alla capanna siamo ben felici di rimandare al mattino dopo la discesa su Saas Fee. Il seguito è una sequela di cambi di autobus e treni per tornare a Torino.
Dalla Valle di Saas al Sempione
Maggio 2008. Scartate le prestigiose traversate della Weissmies e del Fletschhorn per lo scarso innevamento, trovo un’alternativa nel vallone del Mattwaldbach che da Saas Balen conduce alle pendici del Senggchuppa. Siamo in cinque. Cercando di prevenire il maltempo anticipiamo la partenza a venerdì per pernottare alla Fletschhornhütte, così da lasciare al giorno dopo il minimo indispensabile per traversare al Sempione. Mi accerto dell’agibilità del bivacco, prendo accordi con il taxista di Saas Grund, verifico gli orari dei mezzi pubblici.
Giunti in auto a Brig, un’ora dopo scendiamo dall’autobus dinanzi alla Posta di Saas Grund. Ad attenderci, un furgone a passo lungo. Non immagino come potrà percorrere la tortuosa stradina che sale a Siwinen. Ma il conducente sa il fatto suo. In un tratto fra due tornanti sale in retromarcia. Alle case di Siwinen l’ambiente è da gita turistica nei boschi: non c’è un briciolo di neve. Dal ripiano prativo di Siwiboden proseguiamo su un’esile traccia tra grossi blocchi sulla sinistra orografica della valle. Agli ultimi larici raccogliamo rami secchi per la stufa. Alle prime chiazze di neve entriamo nell’angusto alveo del torrente e quando la valle si allarga possiamo finalmente calzare gli sci. Seguendo gobbe e avvallamenti individuiamo, alle ultime propaggini della cresta che dal Mattwaldhorn confluisce nel Mattwaldgletscher, il punto in cui dovrebbe sorgere la Fletschhornhütte. Il bivacco è una piccola costruzione in pietra addossata al pendio, eretta al riparo dal vento su un terrazzo di muri a secco. Dall’inclinato tetto in lamiera gocciola la neve in scioglimento. Accesa la stufa, le minestre liofilizzate escono chissà come dal sacchetto delle pelli. Fuori, le nebbie ritiratesi dalla cresta ci consentono una nitida visuale sulla vicina Senggchuppa, rilucente di ghiaccio.
Alle 6,30 lasciamo il rifugio e, risalita la morena, ci troviamo immersi nelle nubi. Tra alcune schiarite procediamo sul Mattwald Gletscher fino a che è possibile scendere sul Gamsagletscher. Aggirata alla base la ripida balza svoltiamo nella Nanztal dove il ghiacciaio termina su ripidi pendii morenici. Dal ripiano sottostante saliamo alla spalla del Boshorn dove ci troviamo di nuovo avvolti dalle nuvole. Sotto le sferzate del vento gelido ci prepariamo all’ultima discesa. Neve gelata e poi crostosa: fino ai laghi Sirwoltesee sciare è un eufemismo. Dalla gola della cascata la neve, qui abbondante, diviene sciabile e consente di arrivare sino a pochi metri dalla strada. Con l’autostop raggiungo l’auto a Brig, da cui torno rapidamente a recuperare i compagni. Alle 12,30 festeggiamo a Iselle, con squisiti gnocchi all’Ossolana, impastati con farina di castagne e conditi con burro e salvia, il nostro arrivo al Passo del Sempione. Anche questa traversata, la penultima e la più impegnativa di tutto il raid, è compiuta. La prossima meta sarà il San Gottardo.