La mia traversata in sci delle Alpi


igi1Mi ero già cimentato in tour sci alpinistici sulle montagne di casa: il raid del Marguareis, il giro dell’Argentera, quello del Sautron, un raid nel Queyras, il tour del Rocciavrè, il raid della Valle dell’Arc, il tour dell’Eveque, il versante svizzero del M. Bianco, il percorso del Mezzalama, la Val Formazza.

Sul finire degli anni ‘80 anni, dopo avere letto il bellissimo libro dei fratelli Odier  è maturata in me l’idea di provare a collegare in un unico ideale ‘filo bianco’ tutti i pezzi sparsi dei monti di casa che già conoscevo. E così ho iniziato a lavorare a quello che mi sembrava un progetto già molto ambizioso: la traversata in sci dei monti dell’arco alpino piemontese e valdostano, avendo quale meta finale il San Gottardo, sul modello dei Raid in Sci dell’UGET. Poi la faccenda mi ha preso la mano, il cammino è proseguito ed è tuttora in corso.

La traversata ha preso concretamente avvio nel ’91 e soltanto nel 2010 ho raggiunto il San Gottardo. L’obiettivo successivo è stato semplicemente quello di continuare, senza un traguardo preciso, cercando di percorrere a ritroso la traccia dei fratelli Odier. Nel 2017 sono giunto in Valle Aurina.

Caratteristiche del progetto

La gran parte delle imprese precedenti, esclusa l’esperienza dei Raid in Sci dell’UGET, sono state effettuate con un’ottica di tipo sportivo, caratterizzate cioè dall’ottimizzazione del percorso, che mira a coprire la massima distanza nel minor tempo possibile, e dalla continuità temporale della performance, impiegando il minor numero di giorni possibile. Ribaltando quest’ottica, ne ho sposata una opposta, che definirei di tipo conoscitivo.

Così ho immaginato una traversata da “scialpinista della domenica”, quale sono, che lavora e dispone solo dei fine settimana cui aggiungere eventualmente uno o due giorni di ferie, e che si organizza da sé; un’”impresa” senza limiti di tempo, da realizzare nell’arco di molte stagioni.

Ho scelto di procedere in senso orario, con l‘unica regola di mantenere ragionevolmente la continuità spaziale, riprendendo ogni volta l’itinerario nei pressi di dove lo avevo interrotto.

Ho evitato di:

  • prendermi dei rischi eccessivi in tratti non valicabili in sicurezza;
  • sfinirmi in tratti troppo lunghi e non spezzabili per mancanza di punti d’appoggio;
  • sprecare il poco tempo disponibile marciando a piedi nei tratti di fondovalle o lungo le piste da sci.

Ho cercato di:

  • concatenare, ovunque possibile, itinerari sci alpinistici di cui esistesse una descrizione;
  • inventarmi il meno possibile itinerari nuovi, visto che la faccenda era già abbastanza complicata così;
  • limitare i dislivelli (cercando di non sforare troppo i 1000 m giornalieri, salvo inevitabili eccezioni);
  • prevedere frequenti discese a valle (moduli di max 3-4 giorni consecutivi);
  • prevedere ove possibile la salita alle vette più classiche lungo il percorso;
  • appoggiarmi ovunque possibile a rifugi, bivacchi e posti tappa.

Non ho trovato un unico compagno con cui condividere questa esperienza, ma ho trovato molti compagni diversi che si sono avvicendati in momenti diversi della traversata, a seconda delle disponibilità.

Ho perso alcuni anni a causa dell’irregolarità dell’innevamento e un anno per un intervento al femore. Inoltre, ho scelto di non rivolgere tutte le energie disponibili a questo solo progetto. Perciò la traversata ha i connotati di uno slow running, o andamento lento, in cui la performance consiste semplicemente nel procedere: un progetto a lunga scadenza in cui sperimentare la sensatezza e la perseguibilità di un compito che ci assegniamo da soli, al quale attendere con perseveranza, tenacia, determinazione.

Puntualmente la traversata ha subito deviazioni e interruzioni del tutto impreviste rispetto al percorso ideale, costringendomi a riprendere in punti non contemplati. Si potrebbe riassumere: interruzioni e riprese, variazioni e sorprese. D’altro canto, insieme a un accurato progetto, anche l’improvvisazione è parte sostanziale di questo gioco. Se i cambi di programma hanno prodotto un calo della “resa” complessiva, mettendo alla prova la pazienza del sottoscritto, tuttavia hanno sempre riservato avventure ed esperienze divertenti ed arricchenti, consentendomi di metter piede in vallate belle e poco conosciute dell’arco alpino.

Devo ammettere di avere scontato il gusto un po’ amaro della “diluizione”, fino a chiedermi se avesse senso la pretesa di resuscitare avventure ed emozioni là dove, ogni volta, avevo dovuto al momento interromperle. In qualche caso lo stress dell’organizzazione, le decine di telefonate e l’incertezza della partenza fino all’ultimo minuto hanno messo in dubbio che il gioco valesse la candela. Ma, dopo ogni interruzione, è sempre tornata la nostalgia per gli spazi, la solitudine, il senso di intimità che mi uniscono agli angoli remoti delle montagne ed è sempre rinato l’impulso a riannodare i fili di questo magico dialogo interiore e a rimettermi in cammino.