Stella Stellina
Dal Moncenisio, le Alpi Graie iniziano bruscamente con la ripida e valangosa bastionata orientata a sud-ovest che unisce la Lamet al Rocciamelone. Nel 2003 meteo e condizioni in zona permangono a lungo incerte, caratterizzate da assenza di neve a bassa quota e neve abbondante e instabile in alto. L’itinerario è sicuro solo nella seconda metà di Maggio; Paolo e Atz sono i compagni ideali per questo tratto prettamente “di scoperta”. Al rifugio Stellina siamo soli. Spacchiamo legna per la stufa, facciamo fondere la neve raccolta da un vicino accumulo, lottiamo con la bombola del gas, infine assaporiamo sotto le stelle la perfetta solitudine di quest’aereo spalto. L’indomani l’alba è rossa, velata da bande grigie. Calzati gli sci sul Pian Ciardun, scavalchiamo l’alto crinale della Punta Marmottere e ci portiamo, lungo il Ghiacciaio del Rocciamelone, alla base della parete nord della Pointe de l’Arcelle. Con un ripido diagonale risaliamo al Col des Alpins, porta d’accesso al remoto circo glaciale Derrier la Clapiere. Usciti dal ghiacciaio, l’interminabile Vallon de la Lombarde, privo di un vero sentiero, è un calvario di erba e chiazze di neve. Partiti alle 5,30, solo alle 18 giungiamo alle case di Avérole, senza avere incontrato anima viva. Otteniamo un insperato passaggio fino a Bessan, dove ci facciamo recuperare da un taxi. Ma la strada per la continuazione della traversata è aperta.
Dalla Valle dell’Arc alla Valle dell’Orc
Le tappe successive si snodano lungo il più tranquillo e classico itinerario dell’alta Valle dell’Arc. Anche nel 2004 troviamo pessime condizioni meteo, e soltanto a maggio il tempo si stabilizza, ma per i custodi dei rifugi dell’Arc, la stagione è… finita. Così, prima della “lotta con l’Alpe” viene la “lotta con i rifugisti”, che si conclude alla vigilia della partenza, fissata per il Venerdì, con la certezza che tutti e tre i rifugi, Avérole, des Evettes e Carro, saranno aperti, complici le previsioni del tempo favorevoli e le richieste di altri gruppi. Al Ref. d’Averole siamo addirittura in nove.
La mattina seguente le nebbie avvolgono le cime più alte. Dall’Albaron di Savoia e dal Monte Collerin i vapori scendono a lambire l’erto pendio che sostiene la Sella d’Albaron, meta obbligata per la traversata odierna. Il passaggio, in gran parte slavinato, è poco attraente. La neve crostosa cede ad ogni passo. Alla sella la visibilità è nulla. Rinunciamo alla vetta dell’Albaron e iniziamo a scendere sul versante opposto. Dopo alcuni ripidi zig-zag tra spettacolari seraccate, il pendio si addolcisce nel lungo Plan des Evettes. Chicca finale, un’ottantina di metri di risalita per giungere, alle 15, all’affollato rifugio. Molte comitive sono dirette all’Albaron. Il nostro gruppo può fruire di un dormitorio tutto per sé, il Crocus. Ci muoviamo appena fa chiaro, alla volta del Passo delle Disgrazie e della Punta Francesetti. Il colle è difeso da una profonda gorgia creata dal vento, un enorme ricciolo che corre parallelo al piede delle rocce. Dalla cima il panorama è molto ampio, le cengie e gli anfratti delle pareti sono spruzzati di neve recente. Su tutto domina la Nord della Ciamarella.
Tornati alla base della nostra montagna saliamo al Col du Gran Mean e traversiamo in leggera discesa al Col de Trieves, sotto l’irta cresta di Gura-Moulinet. Dal ghiacciaio Source de l’Arc attacchiamo l’ultima salita della giornata, verso il Col des Pariotes, con vista straordinaria sulle Levanne. Alle 15 siamo al Ref. du Carro, le nostre cose stese ad asciugare sulla lastra di roccia antistante l’austera costruzione. Il giorno seguente, contornate le propaggini dell’Aig. De Gontier, con lunghi spostamenti e risalite tocchiamo i ripiani du Plan Sec e du Montet, e poi il Glacier du Montet, splendida balconata sospesa tra un’imponente barra di rocce rosse e la cresta orlata di cornici che unisce l’Aiguille du Montet al colle omonimo. La neve ancora fredda scricchiola sotto gli sci, l’aria frizzante pizzica la pelle. Una pace silenziosa, il cielo azzurro e, a giro d’orizzonte, il percorso di questi giorni in tutta la sua spettacolarità. Dal colle ci mettiamo sulle tracce della via normale della Grande Aig. Rousse e, mentre le cime circostanti scompaiono nelle nubi, alle 11,30 ne tocchiamo la vetta.
Scesi a ritrovare le tracce di salita, continuiamo lungo il Glacier de Source de l’Isere per aggirare a N-O la Grande Aig. Rousse, per poi risalire al Colle d’Oin e al ghiacciaio orientale del Carro, da cui ci attende una lunga discesa fino a Chiapili.
Dalla Valle dell’Orc alla Valgrisenche
Due settimane più tardi, la persistenza del bel tempo e la disponibilità della famiglia mi consentono un blitz di fine stagione. Così, ai primi di giugno, mi trovo con Paolo, Atz, Ezio e Paola sotto il Lago del Serrù, dove una slavina blocca la strada, con la chiave del rifugio Pian della Ballotta. Nei tre giorni di cui disponiamo, intendiamo scavalcare la Galisia e la Becca della Traversiere. Quanto al rifugio Benevolo, il custode acconsente a tenere ancora aperto per noi domenica sera, prima di chiudere per un periodo di vacanza. Il rifugio Pian della Ballotta, mimetizzato sullo sperone roccioso a metà del Piccolo Colluret, è un vero nido d’aquila, ancora parzialmente imprigionato nella morsa della neve. L’ambiente ha in sé qualcosa di tetro, ma il piccolo rifugio, un ricovero d’altri tempi accogliente e pulito, evoca ricordi di prime gite in montagna. Troviamo legna per la stufa e un’accetta. Dalle nuvole ostinate cade una pioggerella gelata.
Nella notte il vento cessa e la nuova giornata si annuncia splendida. Partiamo alle 5,20. Scavalchiamo il Passo della Vacca con il disco rosso del sole appena spuntato dietro al Gran Paradiso. Con un saliscendi ci portiamo al canalino sinuoso sotto il Roc Basagne che dà accesso al ghiacciaio omonimo. Il valloncello s’incunea tra alte torri rocciose gialle che segnano il brusco passaggio dagli gneiss e serpentini delle valli di Lanzo e Orco alle rocce calcaree dell’alta Val di Rhemes. La discesa dalla Galisia sul Ghiacciaio di Lavassey è puro divertimento con giusta inclinazione e neve perfetta. La gioia termina quando la pendenza smorza. Togliendo e mettendo un paio di volte gli sci giungiamo al rifugio Benevolo alle 14. Abbiamo a disposizione il piccolo locale invernale al piano terra, foderato in legno di pino.
L’indomani, con passaggi poco evidenti in valloncelli laterali, mettiamo piede sul ghiacciaio di Goletta. Con lungo spostamento transitiamo ai piedi delle pareti nord e ovest della Granta Parei. Oltre il colle di Goletta, saliamo infine a piedi la breve e aerea cresta sud-est della Becca della Traversiere. La discesa ci riserva una sciata su velluto da cinque stelle. Superato il Rifugio Bezzi, incustodito, sciamo ancora fino a quota 2000. Alle 14 siamo a Useleres, da dove la piccola utilitaria di Paolo, caricata all’inverosimile, trasporterà tutta la combriccola alle varie destinazioni.
La traversata del Rutor
Il 2005 porta un’annata balorda. Inverno asciutto e ventoso, innevamento scarso, precipitazioni abbondanti a metà Aprile. L’osso duro della traversata del Rutor incombe: una gita per amatori, considerato che il rifugio Scavarda, finalmente in ricostruzione, non è ancora agibile e che le condizioni di quest’anno obbligano a salire a piedi più di metà dei 1700 metri di dislivello. In alternativa non resta che aspettare l’apertura del rifugio il prossimo anno, sperando in condizioni migliori.
Arriva l’ultimo week-end di Maggio. Le previsioni danno bello stabile e caldo tropicale. Alberto è disposto ad accompagnarmi. Così, il venerdì sera ci trova nei pressi dell’alpeggio dell’Arp Vieille, in un ambiente solitario e idilliaco. Sui prati è tutto un rigoglio di fioriture di ranuncoli e genzianelle e ginepri rosseggianti, bruciati dal gelo tardivo. Il rosa del tramonto colora la neve della Rabuigne e della Giason. Montiamo la tenda su un piccolo promontorio a lato della sterrata e alle 22 ci infiliamo nei sacchi piuma.
La sveglia è per le 3,30. Una brutta luna color arancio fa capolino fra le nuvole. Dopo un’ora e mezza di macereti, dossi erbosi e neve, nella quale sprofondiamo fino al ginocchio, un ripido pendio-canale consente di calzare gli sci. Sbuchiamo al sole una cinquantina di metri a monte del nuovo rifugio. Un laghetto riluce poco più in basso, le catene di monti si profilano nitide su diversi piani di profondità e il solco della Valgrisenche sfuma nella foschia azzurra. Attraversiamo il piccolo Ghiacciaio di Morion, sotto la complessa costruzione del Rutor, con lo Chateau Blanc di fronte. Tra le due cime si apre il colle del Rutor, punto di passaggio per la Valle di La Thuile. Giunti in vetta alle 10,40 poco dopo siamo già al fondo del ghiacciaio, una veloce discesa con neve eccellente. Ora però non sappiamo da che parte uscirne. Il Rif. Deffeyes non si vede. Ci accorgiamo che saremmo dovuti rimanere alti sulla morena. Le relazioni sono scarne, come sempre. Vaghiamo un’ora tra sassi e neve, come tra le dune di un deserto. Solo alle 12,40 giungiamo al rifugio.
Sole cocente e caldo afoso. Ora c’è da percorrere il lungo sentiero, e vorremmo già essere giù. A ogni rigagnolo ci fermiamo a bere, a ogni metro di risalita imprechiamo. Passati infine accanto a La Joux, ecco il ponte e, sul piazzale, il taxi che abbiamo prenotato ieri. Sono le 15. Ci fermiamo all’Arp Vieille una seconda notte per goderci il relax, la solitudine e la luce delle montagne.
La traversata della Punta Lechaud
Scavalcato il Rutor, la conclusione di questa tranche mi sembra improvvisamente a portata di mano e sogno di giungere a Courmayeur, attraversando la Punta Lechaud, ancora in questa stagione. Nella prima decade di giugno il meteo è buono e Paolo e Atz sono disposti a partecipare. Partiamo il pomeriggio del solito venerdì per La Thuile, dove ci sistemiamo nell’unico albergo aperto. I colori del tramonto saturano e addolciscono il verde del bosco. L’atmosfera è appartata, gli avventori pochi.
Il mattino ci avviamo dal Lago Verney con il primo barlume di aurora. Poco sopra calziamo gli sci su bella neve gelata. Verso il colle dell’Hermite il cielo schiarisce, dissolvendo vapori grigi e rosa. Oltre il colle, i colossi della catena del Bianco saranno sempre dinanzi a noi. Anche oggi non c’è nessuno. Dal dosso del Miravidi è visibile l’ultimo tratto del percorso verso la Punta Lechaud. Lungo lo spartiacque con la Val Veny cerchiamo un passaggio a ridosso della q. 2761 m, citato in una guida. Ma il versante Val Veny è un uniforme, ripido alternarsi di colatoi e speroni di pietre crollanti. A una lieve depressione, decidiamo che ne abbiamo abbastanza e proviamo a scendere verso la larga cengia nevosa che corre sui 2500 m sotto la cresta. Appena possibile abbandoniamo lo sperone ed entriamo in uno stretto canale innevato. I ramponi mordono bene. Faccia a monte, gobbe a 45°. Rigola centrale da attraversare. Poi la desolazione della Val Veny, quasi spoglia di neve, i laboriosi traversi, togli e metti gli sci, fino a 2200 metri, sotto l’Alpe de la Lex Blanche superiore. Poi, a piedi. Il lago Combal quasi prosciugato. Camminando sulla strada, col sole alle spalle, osservo la mia ombra e mi domando cosa sia quella specie di bastone che esce dallo zaino. Mi sento talmente “in cammino” da avere dimenticato che sullo zaino ho appesi gli sci. Alle 17,10 siamo a La Visaille. Stesi sull’asfalto, all’ombra di uno chalet, riposiamo, aspettando l’ennesimo taxi.