Combin de Valsorey e de Grafeneire

Combin de Valsorey, 4184 m – Combin de Grafeneire, 4314 m. Salita: cresta ovest o du Meitin; discesa: versante nord per il ‘Couloir du Gardien’ (Val d’Entremont).

Caratteristiche: Bellissima ascensione su uno dei colossi della cresta di confine con la Svizzera, impegnativa per la lunghezza e per il percorso non banale. E’ da intraprendere preferibilmente quando la cresta sia asciutta. La salita, pur discontinua, presenta diversi passaggi di arrampicata, eventualmente di misto, e qualche fascia di neve o ghiaccio. La discesa è altrettanto impegnativa, per l’esposizione e l’inclinazione dei pendii ghiacciati su cui si svolge, con qualche pericolo oggettivo per il rischio di frane di ghiaccio dai seracchi. Nella buona stagione è facile trovare una buona traccia, indispensabile per scendere in sicurezza.

Difficoltà: AD-

Dislivello: 1300 m, di cui 600 m la cresta, più 200 m di risalita al Col du Meitin.

Carte: CNS 1:50.000 f. 283, Arolla.

Accesso: Autostrada di Aosta, Gran San Bernardo, Bourg St. Pierre.

Avvicinamento: Punto di partenza è la Cabane de Valsorey, 3037 m, che si raggiunge in circa 4 ore lungo un buon sentiero partendo dal parcheggio sopra Bourg St. Pierre, 1750 m. L’attacco della cresta è al Col du Meitin, 3610 m.

Salita: Dalla Cabane de Valsorey, 3037 m, risalire la morena, attraversare il piccolo Ghiacciaio du Meitin, quindi su tracce di sentiero superare un ripido pendio detritico sulla destra di un canale, infine con un traverso ascendente a sinistra raggiungere la cresta alcune decine di metri sopra il Col du Meitin, 3610 m (2 ore). La via lungo la cresta è contrassegnata da ometti e nei punti più impegnativi è protetta da qualche spit. Scavalcare o contornare i primi gendarmi di rocce rotte fino ad un ripido dosso roccioso, che si supera sulla sinistra stando nei pressi del filo con breve arrampicata (III+). Proseguire su vaghe tracce per ripidi sfasciumi e roccette fin sotto una fascia rocciosa: salire prima sotto uno strapiombino (III+), quindi traversare a destra su cengia e scalare infine un diedro camino a sinistra (III+) per giungere a una spalla. Seguire ora una traccia sino al piede del successivo risalto che si sale sulla destra percorrendo prima un canale e poi una crestina abbattuta alla sua destra (II+), giungendo su un’altra spalla piuttosto esposta. Percorrerla verso destra (neve o detriti) fino alla base dell’ultimo torrione, che si scala su roccia spesso verglassata ma relativamente facile (II) e culmina con la vetta del Combin de Valsorey, 4184 m (3.30-4,30 ore). Scendere alla sella tra i due Combin e seguire la bella e facile cresta nevosa, ponendo attenzione alle cornici sul versante sud, che sale al Combin de Grafeneire, 4314 m (0.45 ore, in totale 6.15-7.15 ore).

Discesa: Percorrere il vasto ghiacciaio a moderata inclinazione in direzione nord fino al suo bordo. Da qui, superato qualche eventuale crepaccio, infilare un corridoio tra due seracchi, che può presentarsi più o meno ripido a seconda della stagione, quindi svoltare a destra e iniziare un lungo mezzacosta sotto i seracchi su un pendio molto ripido (più di 45°) ed esposto. Giunti dove il pendio si addolcisce un po’, raccordarsi al plateau du Maisons Blanches con vari tornanti e superando in ultimo due terminali, incrociando infine la traccia proveniente dalla Cabane de Panossiere (circa 3400 m, 2-2.30 ore). Risalire in direzione sud il lungo Ghiacciaio di Corbassiere verso il Col du Meitin, 3610, che si raggiunge passando la terminale e scalando un erto pendio (40-45°) spesso ghiacciato, alto un centinaio di metri (1.30-2 ore). Dal colle ripercorrere la via di salita per tornare alla Cabane de Valsorey (1.30 ore, totale 5-6 ore).

Alpinisti quadrati e sicuri

Percorrendo la valle d’Entremont, appena usciti dal tunnel del Gran San Bernardo, non si immagina quali spettacolari monti la sovrastino: la valle li custodisce gelosamente, come uno scrigno i suoi tesori. Eppure, subito lì sopra, si nascondono il Velan e il Combin, quell’imponente e inconfondibile massiccio montuoso che, osservato dai pressi di Aosta, ricorda un immenso trono di roccia e neve. Avevo ammirato con stupore questo versante del Combin un paio d’anni fa salendo con Alberto proprio il Mont Velan. E mi ero soffermato, per la prima volta, sulla scultura quasi regolare degli imponenti spalloni rocciosi che con tre ripidi salti definiscono il profilo occidentale del Combin de Valsorey: la Cresta du Meitin, alla quale non avevo mai posto grande attenzione. Questa rivelazione aveva contribuito a risvegliare in me l’interesse per questa grande montagna, sopito negli anni dall’aura di impegno e di pericolosità di cui il Combin, ai miei occhi, era sempre stato avvolto.

Paolo ed io partiamo alla scoperta di quest’angolo della valle d’Entremont un giorno di Ferragosto, approfittando di un momento di libertà dalle rispettive famiglie lontane per qualche giorno. Abbiamo intenzione di scalare il Grand Combin lungo la via che sembra la più breve e facile: la normale della Spalla Isler sul versante italiano. E pazienza se saliremo questa grandiosa e isolata montagna per un ripido ma semplice pendio di sfasciumi e roccette.

Ma, quando dall’autostrada ci affacciamo sulla Valpelline diretti a Bourg S. Pierre per salire alla Cabane de Valsorey, i pendii della Spalla Isler ci appaiono tutti imbiancati e carichi di neve recente. Sorpresa e sconcerto. Il custode del rifugio, interpellato ieri, confermava che la via era in buone condizioni. Quel che vediamo non promette invece niente di buono, specie considerando il caldo di questi giorni. Mentre dal parcheggio sopra Bourg S. Pierre ci inoltriamo nella Valsorey e la vista spazia su lontane e alte vette innevate che fan capolino dietro rigogliosi pascoli e verdi dirupi, il nostro pensiero corre inevitabilmente alla Spalla Isler bianca di neve.

Alla Cabane de Valsorey non manca nulla del rifugio vecchio stile: il refettorio in perlinato scuro e lustro, le camerate nell’ampio sottotetto con tavolati a castello, il custode un po’ burbero ma sempre presente, facce cotte di alpinisti di varie generazioni e diverse nazionalità. Ordinata la cena e avuti i nostri posti sul tavolato, pensiamo bene di occuparli per un paio d’ore, tornando in quel mondo dei sogni dal quale stamani ci siamo troppo presto separati, rimandando ad un momento successivo la soluzione del problema Isler.

Al risveglio le poche nubi si sono diradate e si vedono distintamente il Col du Meitin, la possente piramide rocciosa del Combin de Valsorey e il Plateau du Couloir, da cui si innalza la costola innevata della inquietante Spalla Isler.

Fuori del rifugio ci uniamo ad un gruppetto di tedeschi, francesi e italiani che discettano amabilmente di vie di salita. E’ giunto il momento di tender l’orecchio e capire da che parte questa gente intenda salire domani. Sentiamo parlare della cresta ovest, la Cresta du Meitin, che dal colle omonimo s’inerpica al Combin de Valsorey. Gli italiani, gente di Aosta, l’hanno già salita lo scorso anno e hanno intenzione di rifarla. Dinanzi alle nostre perplessità, ci rassicurano: la cresta, di 600 metri di dislivello, è discontinua e alterna qualche passaggio di arrampicata a lunghi tratti in cui si cammina, nulla di troppo impegnativo. Aggiungono poi che, per riportarsi al Col du Meitin, è possibile scendere lungo il versante nord, la via che poi sapremo essere chiamata ‘Couloir du Gardien’, un itinerario molto ripido ma ben più sicuro dell’assolata Spalla Isler. D’altra parte, l’itinerario verso il Col du Meitin da qui sembra evidente, lungo un canalone che dal ghiacciaio sale direttamente al colle.

Dopo cena interpelliamo il custode il quale afferma diplomaticamente che, anche se è nevicato nella notte, le condizioni sono abbastanza buone ovunque, ma forse sarebbe saggio seguire gli altri lungo la cresta ovest e discendere da nord, dove la pista è ben tracciata. Partiti per salire e poi discendere soltanto i ripidi sfasciumi della normale, ci accingiamo ora ad affrontare una cresta alpinistica e poi un versante glaciale dei quali non sappiamo assolutamente nulla. Quando ci infiliamo in cuccetta siamo pervasi da una vaga apprensione.

Riusciamo a incamminarci tra i primi. Sul piccolo Glacier du Meitin già si snoda una breve fila di luci. Al buio, ridotte le potenzialità dell’occhio al limitato cono luminoso proiettato dalla frontale, anche il cuore si prende un momento di vacanza: l’impossibilità di percepire nettamente pendenza e vuoto ci aiuta a tirare su dritti per il canale individuato ieri pomeriggio, mentre le altre luci spariscono dietro un costone. Tocchiamo per primi il Col du Meitin e, mentre le altre luci riappaiono, un debole chiarore inizia a diffondersi dietro il Plateau du Couloir.

La cresta inizia in sordina, con piccoli gendarmi di rocce rotte fino ad un tratto più ripido dove preferiamo legarci per superare un passaggio poco intuitivo dove tornano utili i nut che ho portato. La neve fresca dei giorni precedenti per fortuna qui non crea grossi ostacoli e saliamo senza ramponi. Più su, mentre il cupolone del Velan, ormai basso sotto di noi, s’indora al chiarore dell’alba, inseguiamo filacci di vecchie corde fisse per oltrepassare una fascia di piccoli strapiombi. Alla base del risalto successivo i tedeschi e gli italiani ci sorpassano e proseguono per la più impegnativa ‘direttissima’. I francesi aggirano a destra il filo di cresta per un costolone e noi li seguiamo. All’uscita una fascia di neve gelata, coperta da poche dita di neve nuova, conduce ai piedi dell’ultimo salto, la cima del Combin de Valsorey su cui brilla la croce.

Calziamo i ramponi e ripartiamo in conserva, ma, fatti pochi metri, un rampone di Paolo si sgancia dal tallone. Il luogo non è dei migliori ed è esposto. Siamo a pochi metri da un banco di roccette. Nel tentativo di raggiungerle, il rampone di Paolo esce completamente, restando attaccato allo scarpone con la sola fettuccia di sicurezza, e lui perde l’equilibrio. Mi getto istintivamente sulla piccozza tendendo lo spezzone di corda che mi unisce al compagno. Anche lui con altrettanta prontezza riesce a bloccarsi nello stesso modo. “Ora però il rampone lo devi proprio mettere a posto!” urlo a Paolo. Superata l’impasse iniziamo a risalire l’ultimo salto per cengette e saltini di roccia a tratti verglassata, mentre sotto i nostri piedi sprofondano i pendii nevosi della Isler solcati da rigole dove stanno giusto finendo due pietre smosse incautamente da chi ci precede, che per fortuna volano alte sopra le nostre teste.

Sul Combin de Valsorey passiamo in un istante dall’asprezza della roccia alla dolcezza di un vasto lenzuolo di panna sospeso tra il Valsorey e il Grafeneire. Caliamo veloci alla sella e assai più lentamente riprendiamo a salire la successiva estetica cresta nevosa che si staglia nel cielo azzurro, insidiato a sud da un mare di nuvole, e giungiamo sulla larga sommità del Combin di Grafeneire.

Ma all’orizzonte solo le cime più alte ormai escono dalle nubi. Perciò ci affrettiamo e, visto che nessuno degli altri ancora si muove, ci vediamo costretti a chiedere ai presenti dove si svolga precisamente la via di discesa. Non facciamo proprio una bella figura da ‘alpinisti quadrati e sicuri’, frequentatori della montagna affidabili ed esperti, una definizione e che a volte si rivela ingannevole. I francesi ci indicano una pista che, dalla sella tra i due Combin, scende a nord tagliando tutto il vasto ghiacciaio fino al suo margine settentrionale.

Filiamo lungo il ghiacciaio fino al bordo del ripiano. Qui, scavalcati due facili crepacci, le orme si inoltrano in una ripida breccia naturale aperta tra alti blocchi di ghiaccio. Aggirato con una curva sinuosa lo spigolo di un seracco, l’inquietudine si stempera nell’ammirazione di uno spettacolo straordinario: ci troviamo sospesi al colmo di un ripido pendio che si perde sopra altri crepacci e seracchi, solcato da una traccia perfetta. Discendere le diverse centinaia di metri che ci separano dal Plateau du Maisons Blanches è un’esperienza indimenticabile.

Raggiungiamo un’anziana coppia di tedeschi e notiamo che indossano cappello a tesa larga con fez di tela, pantaloni alla zuava, paranaso a carota arancione collegato agli occhiali da saldatore, scarponi di cuoio a punta quadrata e ramponi a dieci punte legati con cinghie di canapa. Dal baudriere del capocordata pendono un paio di ammaccate viti da ghiaccio a cavaturaccioli. Paiono attori di un film in costume. Molto incuriositi, ci manca però la proprietà della lingua per chieder lumi.

Saltate le due terminali tocchiamo finalmente il Plateau du Maisons Blanches. Ci voltiamo indietro ad ammirare la vertiginosa discesa. Tra filacci di nebbia il profilo dei saracchi disegna una linea spezzata contro il cielo. E in quel mentre vediamo sbucare lassù un solitario.

Di malavoglia ci incamminiamo, abbacinati dal sole e dal riverbero, verso il Col du Meitin che si eleva al fondo del lungo falsopiano. Transitiamo sotto la parete nord del Combin de Valsorey, vero gioiello incastonato in un angolo remoto della montagna, e, valicata la terminale su un ponte, attacchiamo il pendio alto un centinaio di metri dove ben presto affiora il ghiaccio.

Mentre avvito un chiodo scorgo il solitario avvistato prima, che ci ha già raggiunti, avviarsi a passo di carica verso la terminale, oltrepassarla di slancio e in un battibaleno superarci alla nostra sinistra. Ho giusto il tempo di notare che sta salendo senza piccozza quando improvvisamente percepisco uno strusciare di tessuti e il raspare delle mani sul ghiaccio: l’uomo è scivolato. Impietriti, seguiamo la sua corsa, che egli tenta invano di controllare, adagiato al pendio. Mentre già lo immaginiamo inghiottito dalla terminale, lo vediamo invece arrestarsi miracolosamente in piedi sul bordo inferiore del crepaccio. Non un grido, non una parola. Si spolvera la giacca a vento e riprende a salire. Restiamo attoniti. Concludiamo i nostri tiri e aspettiamo, per scaramanzia, che la strana coppia di tedeschi esca dal pendio.

Cosa potrebbe ancora attenderci oggi? Bè, un bel temporale naturalmente, che ci coglie appena sotto la Cabane de Valsorey, nel tipico segno del clima ferragostiano: scrosci di pioggia, tuoni e fulmini, poi squarci di azzurro e infine di nuovo il sole a suggellare la riuscita di questa singolare ‘gita di scoperta’.

15–16 agosto 1997

Sul Couloir du Gardien al Grand Combin