Dôme de Neige des Écrins

Dôme de Neige des Écrins, 4015 m. Via normale dal Refuge des Écrins (Valluise); con gli sci.

Caratteristiche: L’ascensione, prettamente glaciale, pur comportando lunghi spostamenti, è di incomparabile bellezza e perciò molto frequentata. L’avvicinamento è lungo e quando le condizioni della montagna sono ideali per lo sci la prima parte della salita al rifugio può essere già sgombra di neve. I pendii del versante nord della Barre des Écrins, lungo i quali si svolge la parte più interessante del percorso, sono crepacciati, ripidi e a tratti esposti alla eventuale caduta di seracchi, tuttavia sono sempre segnati da una buona traccia e riservano, con neve buona, una discesa di prim’ordine.

Difficoltà: OSA, F+/PD-

Dislivello:1000 m

Carte: IGN 1:25.000 f. 241, Massif des Écrins, Meije, Pelvoux; Didier Richard 1:50.000 f. 6, Écrins, Haut Dauphiné.

Accesso: Susa, Colle del Monginevro, Briançon, L’Argentiere la Bessée, da cui si imbocca la Vallouise che si segue fino al termine della strada, al Pré de M.me Carle.

Avvicinamento: Partenza dal Refuge des Écrins, 3170 m, posto su uno spuntone roccioso sulla sponda sinistra orografica del Galcier Blanc, a 4.30-5 ore dal Pré de M.me Carle con 1370 m di dislivello. Dal Pre de M.me Carle, 1800 m, seguire un buon sentiero che rimonta un ripido dosso dove solitamente, quando la montagna è in buone condizioni, non c’è più neve. Si arriva così sotto la fronte del Glacier Blanc. Da qui, a seconda dell’innevamento, salire tra avvallamenti e ripidi dossi o, in assenza di neve, le scalette metalliche sulle rocce montonate, fino al Refuge du Glacier Blanc, 2550 m (2.15-2.30 ore). Proseguire lungo il versante morenico sinistro orografico del ghiacciaio, con qualche saliscendi e brevi tratti attrezzati. Scendere poi sul plateau del Glacier Blanc e costeggiarne a lungo la sponda sinistra orografica (qualche crepaccio). Infine risalire i pendii sulla destra e giungere al Refuge des Écrins, 3170 m (2.15-2.30 ore dal Refuge du Glacier Blanc, in totale 4.30-5 ore dal Pré de M.me Carle).

Salita: Dal Refuge des Écrins scendere sul plateau del Glacier Blanc, circa 3000 m, e percorrerlo interamente, seguendone il bordo sinistro orografico, fino ai piedi sottostanti il col des Écrins (circa 3300 m, 1-1.15 ora). Risalire un largo canale ingombro di grossi blocchi di ghiaccio per circa 200 m fin sotto un enorme sbarramento di seracchi (pericolo di distacchi), che obbliga ad attraversare a sinistra. Innalzarsi diagonalmente in direzione sud-est lasciando a destra un secondo grosso nodo di seracchi. Un pendio meno ripido conduce all’ultima seraccata, posta sotto la verticale della vetta massima della Barre des Écrins. Superare questa seraccata attraversando prima a destra e poi a sinistra una zona di crepacci, dove il tracciato migliore varia di anno in anno. Risalire quindi il pendio sempre più uniforme e sostenuto (40°) fino nei pressi della terminale alla base degli scivoli sommitali della Barre. Svoltare a destra e percorrere un plateau poco inclinato al di sopra delle seraccate fin sotto la Breche Lory, 3974 m, piccola sella che si apre tra la Barre e il Dôme. Qui normalmente si lasciano gli sci e, scavalcata la crepaccia, si raggiunge la sella da cui in pochi minuti si guadagna la sommità del vasto mammellone nevoso del Dôme de Neige. Se la crepaccia della Breche Lory non fosse valicabile, continuare a salire in diagonale il pendio fino a superare la vetta (breve tratto ripido) che poi si raggiunge salendo a sinistra (4015 m, 2.30-3 ore, in totale 3.30-4.15 ore).

Discesa: Si svolge lungo l’itinerario di salita (3-3.30 ore fino al Pre de M.me Carle).

La terra sotto i piedi

Salire verso il Refuge des Écrins sotto l’acqua e con gli sci a spalle, anziché sulla neve, e sognare intanto i 4000 metri. E il giorno successivo la sorpresa, peraltro ben calcolata dai servizi meteo, di un tempo bellissimo e una spanna di neve fresca.

Anna, Federica e io avremmo l’ambizione di chiudere la stagione scialpinistica con l’impegnativa ascensione al Dôme de Neige des Écrins. La salita al Dôme, spallone nevoso della severa Barre, è un itinerario che insieme attrae e intimorisce per la ripidità dei pendii e la presenza lungo il percorso di molti crepacci e seracchi.

Il rifugio è pieno, i sacchi bagnati lasciati ad asciugare nel deposito si affastellano, le mantelline sono appese qua e là dove capita, e ai due bagni, all’aperto e malridotti, si fa la coda. 

Alla sveglia, Federica non si sente bene e preferisce non partire. Così, al sorgere dell’alba di un giorno splendido, solo Anna e io possiamo ammirare lo spettacolo della glaciale parete della Barre che lentamente si illumina, mentre procediamo in lunga fila indiana sulla piatta superficie del ghiacciaio. Col primo sole siamo già inerpicati sul pendio, tra torri di ghiaccio e ampi crepacci. Man mano che guadagniamo quota ci pervade tuttavia un senso di inquietudine per quella spanna di neve fresca caduta ieri che ora ricopre e livella asperità e crepe.

A metà ghiacciaio incrociamo un solitario con picca e ramponi che di buon passo sta già scendendo, destreggiandosi tra gli sci e i bastoncini della fila in lenta ascesa. Mentre mi domando a che ora sarà partito per essere già di ritorno adesso, una parte del cervello registra la scena dell’uomo che, giunto a pochi passi da noi, improvvisamente scompare in una nuvoletta di polvere inghiottito dalla coltre bianca. L’orrore provvede a fornire una scarica di adrenalina, perciò ci scuotiamo, aggiriamo la zona sospetta e a suon di grida ci accertiamo della incolumità del malcapitato. Svolgiamo la corda che ho in cima allo zaino, poi insieme ad altri la caliamo, assicurata agli sci affondati nella neve. Mediante una improvvisata carrucola aiutiamo l’uomo, che si è fortunosamente arrestato su un terrazzino di ghiaccio a meno di tre metri dalla superficie, a riguadagnare la luce. Il solitario si scrolla la neve di dosso, nemmeno ringrazia e riprende la sua allegra discesa. Restiamo doppiamente basiti.

Il resto della gita è inevitabilmente segnato da questa sconvolgente esperienza e la corda, tirata fuori per la bisogna e non più riposta, viene ora ad imbrogliare gli zig zag sul pendio di neve profonda sempre più ripido. La sensazione che il pericolo sia in agguato ad ogni angolo si fa tangibile. Quando sopra di noi scorrono i lucidi canali della nord della Barre la pendenza finalmente si attenua nel tranquillo falsopiano glaciale che conduce verso la tondeggiante sommità del Dôme.

In cima non fa freddo, le montagne attorno appaiono tutte meravigliosamente imbiancate di neve fresca, ma il tepore non basta a scacciare quel fondo di apprensione che alberga nell’animo. Pensando alla discesa della zona crepacciata lascio fuori la corda.

Come ci affacciamo sul pendio centrale, immaginiamo voragini nascoste sotto ogni declivio e avvallamento e ci leghiamo nuovamente. Chi non si è mai cimentato a sciare legato in cordata, dovrebbe provare l’ebrezza almeno una volta. Bisogna essere tanto bravi da riuscire a muoversi insieme, come nel nuoto sincronizzato, per non trascinarsi a terra l’un l’altro ad ogni curva. Ma Anna e io non abbiamo questa capacità e, a furia di cadute, a notte saremmo ancora sul ghiacciaio. Non resta che slegarci e scendere uno alla volta sulle scie di chi ci precede, sperando in bene. Superata la zona pericolosa, tutto è più semplice e ci sembra ormai di averla sfangata.

Recuperiamo Federica al rifugio e insieme facciamo ancora qualche bella curva fino ad uscire dal ghiacciaio. Poi, quando la neve termina, Federica, che in questa gita ha quasi soltanto portato a spasso gli sci sullo zaino, sentita la storia, commenta: “Però, che bella sensazione sentirsi la terra sotto i piedi!”

10-11 giugno 1989

Barre e Dôme de Neige des Écrins dal Refuge des Écrins
Ultimo tratto della salita al Dôme de Neige