Dôme du Goûter, 4306 m. Cresta nord o Voie Royale (Valle dell’Arve); con gli sci.
Caratteristiche: Salita su ghiacciaio crepacciato e inclinato, quindi su cresta larga, ma ripida, e che può presentarsi ghiacciata, seguita da più semplici pendii nevosi. Ascensione tecnicamente più interessante della via classica, costituisce una balconata eccezionale sull’immensa e selvaggia colata glaciale dei Bossons e di Taconnaz, sulla grandiosa cresta dei Cosmiques e sul versante nord del Bianco. Via impegnativa per il dislivello e per la discesa che si svolge lungo la normale del Bianco dai Grands Mulets, negli anni recenti spesso interrotta da una seraccata sotto il Gran Plateau ed esposta alla caduta di seracchi dalla cresta del Dôme nella zona del Petit Plateau.
Difficoltà: OSA, PD+/AD-
Dislivello: 1300 m
Carte: IGM 1:25.000 f. 27, Monte Bianco; IGN 1:25.000 f. 3531 ET St-Gervais.
Accesso: Aosta, Courmayeur, Tunnel del Monte Bianco, Chamonix.
Avvicinamento: Partenza dal Rifugio dei Grands Mulets raggiunto in 3-4 ore da Plan de l’Aiguille, stazione intermedia della funivia dell’Aiguille du Midi. Da Plan de l’Aiguille, 2310 m, risalire il Glacier de Pelerins. A circa 2400 m attraversare il ghiacciaio a destra e salire in diagonale nella stessa direzione fin verso i 2600 m. A questo punto compiere un lungo traverso sempre verso destra (sud-ovest) sotto le scoscese pendici dell’Aiguille du Midi, scavalcando alcuni pericolosi canaloni (attenzione alla caduta di pietre e valanghe, se non in buone condizioni) e passando alti sopra la vecchia stazione della ex funivia des Glaciers. Con un tratto in discesa raggiungere il Glacier des Bossons e attraversarlo in piano per raggiungere la Jonction (zona molto tormentata di crepacci e seracchi, a seconda delle annate e della stagione). Usciti dalla Jonction, a una quota di circa 2650 m, risalire il successivo ripido pendio glaciale, a volte molto crepacciato, dirigendosi in ultimo a sinistra verso la cresta rocciosa dei Grands Mulets. Si giunge al rifugio, 3057 m, posto su uno degli ultimi risalti della cresta, con una breve arrampicata su roccette attrezzate (3-4 ore).
Salita: Dal rifugio scendere sul Ghiacciaio dei Bossons e attraversarlo in direzione ovest. Salire il successivo ripido pendio sulla sinistra fino alla crepaccia terminale della cresta nord del Goûter, circa a quota 3500. Da qui proseguire a piedi fino a quota 3750, dove è possibile calzare nuovamente gli sci. Continuare su pendii e dossi man mano meno ripidi fino all’altezza della modesta elevazione della Pointe du Bravais (4057m). Proseguire ancora per un lungo tratto in leggera salita dirigendosi alla tondeggiante calotta del Dôme (4306 m).
Discesa: Scendere lungo dolci declivi verso il Col du Dôme e, prima di toccarlo, svoltare a sinistra sul Ghiacciaio dei Bossons. Per bellissimi pendii giungere sul Grand Plateau (circa 4000 m). Attraversare il vasto catino nevoso fino al suo margine e, per uno stretto e erto passaggio o con una doppia in caso di seraccata aperta, affacciarsi sul ripido pendio de Les Grandes Montées. Discenderlo velocemente (eventuale caduta di blocchi di ghiaccio dai seracchi del Dôme du Goûter) e attraversare il successivo Petit Plateau, 3650 m. Proseguire su un tratto nuovamente molto inclinato, Les Petit Montées, cui segue una zona fortemente crepacciata, che a volte offre il passaggio migliore sulla sinistra. Al suo termine traversare diagonalmente a destra pervenendo ai piedi del roccione che sostiene il Refuge des Grands Mulets, 3057 m (1-2 ore), ricollegandosi così alla via di salita, lungo la quale si svolge il resto della discesa fino a Plan de l’Aiguille (2-2.30 ore, totale 3-4.30 ore a seconda delle condizioni e dell’innevamento).
Pas de problèmes
A inizio giugno quest’anno la stagione scialpinistica è ancora in pieno svolgimento. Finalmente libero da altri impegni, mi volgo al vecchio progetto dell’Aletschorn. Ma l’entusiasmo si smorza quando, dopo un paio di telefonate, apprendo che la parte bassa dell’itinerario non è più in condizioni. Mi viene in mente, in alternativa, il Dôme du Goûter dai Grands Mulets per la bella cresta nord (la cosiddetta Voie Royale) che avevo adocchiato in passato e che mi piacerebbe salire come itinerario autonomo rispetto a quello del Bianco.
Il meteo prospetta una finestra di bel tempo. Telefono al Rifugio dei Grands Mulets: le condizioni della Jonction sono molto buone, quanto al resto, dice il custode, anche l’itinerario al Bianco quest’anno si svolge in salita lungo la cresta nord del Dôme mentre la via classica si fa soltanto in discesa. Come mai non si fa in salita? Il tentativo di avere chiarimenti resta frustrato dalla mia scarsa padronanza del francese. Interpello le guide di Chamonix, le quali confermano altrettanto laconicamente che le condizioni della gita dai Grands Mulets sono attualmente “corrette”, con salita dalla cresta nord del Dôme e discesa dalla via classica. Punto.
Non rifletto a dovere sulle sibilline affermazioni dei miei interlocutori, appellandomi alla semplice dicotomia: “Si passa o non si passa e, se si passa, si passa e basta”. Sono felice di aver trovato un ‘4000’ ancora fattibile in sci, tra quelli pur numerosi che mi mancano. Contatto Paolo, entusiasta e disponibile, e ci accordiamo per partire il prima possibile, mercoledì, per cui chiediamo un permesso dai rispettivi posti di lavoro.
Da Chamonix saliamo a Plan de l’Aiguille con la seconda cabina del mattino e dopo pochi minuti ci incamminiamo per i Grands Mulets. Con diversi togli e metti arriviamo alla Jonction e, benché il ghiacciaio appaia tutto ben chiuso, ci leghiamo: almeno Paolo non potrà mollarmi con una delle sue tipiche fughe in vista del traguardo.
Sul pendio sotto il rifugio incontriamo tre francesi che vengono giù pennellando di gran lena, freschi come rose, benché reduci da sua maestà il Bianco in persona. Chiediamo loro com’è la discesa e ci dicono che c’è da fare (sorpresa!) ‘solo’ una breve doppia, già attrezzata, sotto il Grand Plateau, “Pas de problèmes”. Giunti al rifugio troviamo i due giovani francesi che ci hanno raggiunti e poi superati alla Jonction e nessun altro. Che strano, così poca gente in giornate tanto belle e con la via in condizioni! Chiedo lumi al custode circa la doppia e lui conferma negli stessi termini, “Pas de problèmes”. Poiché al telefono non aveva fatto riferimento a doppie di sorta, i discesori non li abbiamo portati. Chiediamo al gestore se non sia meglio tornare dalla stessa via di salita, ma lui dice che non conviene affatto perché troveremmo neve sicuramente brutta. Questo in ogni caso ci conforta.
Dopo una notte mai così tranquilla, lasciamo il rifugio molto presto. Raggiunto il ripiano alla base della via classica, saliamo abbastanza facilmente i ripidi pendii che sostengono la cresta del Dôme, con le luci di Chamonix che brillano nel fondo della valle a picco sotto di noi. L’entusiasmo è alle stelle.
Dalla terminale, messi i ramponi, saliamo finalmente la cresta, tra le più estetiche che io ricordi. Quando i pendii si addolciscono e si fanno meno esposti, in vista della splendida nord del Bianco, calziamo nuovamente gli sci e con un lungo spostamento sui gobboni sommitali giungiamo in vetta al Dôme.
La discesa, su una spanna di neve invernale, è splendida fino al termine del Grand Plateau, all’atteso mauvais pas. Una corda doppia blu è ancorata con un majong a due cordini passati in due clessidre di ghiaccio scavate nel seracco azzurro che delimita la stretta cengia nevosa dove siamo arrivati con gli sci. La doppia corre su un ripido pendio gradinato e poi si libra nel vuoto per diversi metri, fino a dove si scorge il labbro inferiore del crepaccio. In mancanza dei discesori ci prepariamo due mezzi barcaioli e il prusik di sicurezza. Sci di traverso sullo zaino.
Paolo scende per primo, la corda si tende, passa il tratto gradinato e sparisce. Trascorrono i minuti. Non risponde ai miei richiami. Finalmente, dopo un po’, vedo zaino e sci depositati sul labbro inferiore della spaccatura, poi Paolo risponde imprecando inconsultamente. Ormai non penso che a scendere a mia volta. “In qualche modo, – mi dico con presunzione – se è passato lui, passerò anch’io”.
Dopo il tratto gradinato, dove il seracco strapiomba e occorre pendolare sospesi sopra il crepaccio mezzo aperto per raggiungere la neve solida, i piedi non toccano più la lucida parete di ghiaccio. Il peso del sacco, con gli sci di traverso, e l’imbrago basso da arrampicata mi portano rapidamente ad una pericolosa inclinazione prossima al ribaltamento. Alla faccia del “Pas de problèmes”! Per fortuna Paolo, che non si è ribaltato liberandosi per tempo del sacco, riesce in qualche modo a bilanciarmi da sotto evitando il peggio. Rimarrei appeso a testa in giù come un salame. Così, in precaria posizione orizzontale, con la corda attorcigliata nei nodi, centimetro dopo centimetro guadagno il bordo del crepaccio, mi raddrizzo, abbandono la corda ed entrambi usciamo di corsa da quell’infido imbuto.
Ci mettiamo un po’ a riprenderci, le gambe ben più molli di quel che sarebbe ragionevole aspettarsi. Il resto non è più storia. Abbiamo passato dodici belle ore sempre soli, quando per una volta un po’ di compagnia, specie dalle parti del “Pas de problèmes”, non ci avrebbe fatto schifo. E’ che la montagna riserva delle sorprese ed è teatro di strane cose che a volte occorrono: capita di osservarle, di subirle, di scansarle o di farle. In ogni caso rompono la monotonia e rendono la vita interessante.
3-4 giugno 2009

