Grandes Jorasses (Punta Walker), 4208 m. Via normale (Val Ferret).
Caratteristiche: Salita su ghiacciaio crepacciato, quindi, a partire dal Rocher du Reposoir, via impegnativa con tratti di roccia o misto e un successivo lungo traverso su neve o ghiaccio molto ripido. L’ascensione è esposta in alcuni punti a pericoli oggettivi, in particolare cornici e sassi della cresta Croz-Whymper e blocchi di ghiaccio dal seracco sotto l’insellatura tra la Whymper e la Walker. Nell’insieme quindi una salita complessa, lunga e faticosa, in un ambiente straordinariamente imponente e severo.
Difficoltà: AD
Dislivello: 1400 m
Carte: IGM 1:25.000 f. 28, La Vachey; IGN 1:25.000 f. 3630 OT Chamonix; CNS 1:50.000 f. 46, Courmayeur.
Accesso: Aosta, Courmayeur, Entreves da cui si imbocca la Val Ferret che si segue fino a Planpincieux.
Avvicinamento: Partenza dal Rifugio Boccalatte, 2800 m, raggiunto in 4 ore di buon sentiero ben segnato, in alcuni tratti attrezzato, che inizia a Planpincieux, 1600 m.
Salita: Salire le rocce alle spalle del Rifugio Boccalatte, 2800 m, con l’ausilio di qualche corda fissa e seguire poi la traccia che conduce, tra macereti e nevai, al Ghiacciaio di Planpincieux. Di solito qui è presente una pista che aggira le zone più crepacciate, andando sulla destra verso la cordonatura rocciosa della Bouteille, e raggiunge, a circa 3450 m, la base del Rocher du Reposoir, cospicuo sperone roccioso posto alla confluenza dei ghiacciai di Planpincieux e delle Grandes Jorasses (1.30-2 ore). Scalare questo sperone roccioso o di misto di circa 300 m di dislivello le cui maggiori difficoltà sono concentrate nel reperimento dell’attacco e nella salita dello scosceso zoccolo iniziale (diversi passaggi di II e III, 1.30 ore). Quando lo sperone si abbatte, a circa 3750 m attraversare a destra in piano il largo, ripido ed esposto pendio glaciale detto Couloire Whymper (45-50°), ponendo attenzione a eventuali crepacci. E’ indispensabile che questo tratto si trovi in buone condizioni, senza ghiaccio né troppa neve fresca. Al termine del traverso salire il gran diedro-canale di circa 80 metri, con passaggi di II, che porta alla base dei Rochers Whymper. Attraversare il successivo terrazzo glaciale fino al suo bordo destro, circa 3900 m, passando sotto il caratteristico seracco. Seguire ora il filo di una cresta prima nevosa e poi rocciosa (II+) che sbuca sulla candida calotta sommitale da rimontare (45°) fino alla vetta della Punta Walker, 4208 m (2-2.30 ore, tot. 5-6 ore).
Discesa: Lungo la via di salita, e altrettanto impegnativa (5-6 ore fino al rifugio).
Pierre
Le Grandes Jorasses, annoverate tra le più belle montagne del mondo, possiedono un magico potere di attrazione e sono avvolte da un’aura di grande prestigio. Chi, aspirante alpinista medio, come il sottoscritto, non serba almeno qualche reminiscenza di lettura delle storiche conquiste che si sono realizzate sugli scoscesi versanti e sulle arcigne creste delle Grandes Jorasses? Così per me la salita della via normale alla cima Walker ha costituito per anni un sogno, una delle massime aspirazioni degna di figurare a coronamento di un’intera stagione.
Dopo mesi di progetti e un po’ di allenamento su cime minori, Ettore, passato con naturalezza dai campi di calcio alle montagne, ed io partiamo un venerdì di inizio agosto diretti in Val Ferret, corroborati dalla consultazione dei sacri testi, la Guida Vallot e la Guida dei Monti d’Italia. Mangiamo un panino in un bar di Planpincieux col naso all’aria puntato alle Jorasses, su cui biancheggia una sfarinata di neve fresca. E poi ci incamminiamo. La monotona sequenza dei passi ci accompagna nella pineta, poi sulla pietraia con radi cespugli, fino all’attraversamento del torrente glaciale gonfio d’acqua e al successivo ripido passaggio culminante in un breve tratto attrezzato. La lunga morena, punteggiata qua e là di cardi e genziane, è una vera passerella sulle seraccate grigie e azzurre del Ghiacciaio di Planpincieux. Provvidenziali corde fisse facilitano infine l’accesso alla modesta superficie della balza rocciosa cui è aggrappato il Rifugio Boccalatte, oggi piuttosto frequentato per i suoi 30 posti.
Sveglia all’1 e partenza un’ora dopo, sotto una piccolissima falce di luna. Purtroppo Ettore sin dall’inizio lamenta un malessere che, anziché dissolversi, peggiora col passare del tempo. Procediamo lentamente, finché, giunti alla base del Reposoir, egli desiste, dicendo che preferisce non essermi di ostacolo: non che mi induca a salir da solo, il che non sarebbe nelle mie intenzioni, bensì mi sprona a trovar qualcuno cui legarmi e con cui proseguire, mentre lui scenderà pian piano appena farà chiaro. Rinuncio anch’io, gli dico, seppure rodendomi l’anima, ma non riesco a immaginare una situazione simile. Ettore, con senso pragmatico, insiste perché almeno ci provi. Mi ricorda che a tavola ieri c’erano almeno un paio di persone che erano salite, senza dubbio, da sole.
Alcune cordate ci hanno già superato, cercando di tener dietro ad una guida col suo cliente. A mano a mano ci raggiungono nel buio altre luci puntiformi, annunciate dal mordere regolare dei ramponi. Certo, sono roso dai dubbi e dai brutti pensieri. Rinunciare anch’io o tentare la sorte, così, letteralmente, al buio? Tutto dipende da chi trovo e da quanto l’intuito, l’istinto, mi suggerirà. Notiamo una luce approssimarsi isolata. Ettore la ferma e sento che parlottano in francese. E’ un solitario che accetterebbe volentieri di legarsi a me. Il fascio delle nostre frontali si incrocia e fa la sua apparizione Pierre.
La comunicazione sulle prime non è delle più semplici: io mastico poco il francese e lui niente affatto l’italiano. E’ belga, squadrato, rubicondo, non ha casco né corda né martello, ma ha lo zaino pieno di attrezzatura fotografica. Mostra una grinta d’acciaio nonostante i suoi sessant’anni. Certo è una scommessa. Uno che sale così per affrontare le Josasses o è uno forte o è un cretino. Per rincuorarmi mi dico che certi incontri alla luce delle frontali devono essere sicuramente forieri di successo. Supero l’impasse e decido di tentare, proponendomi di valutare poco sopra, alle prime difficoltà sul Reposoir, le capacità del compagno che, legandosi alla mia corda, mi delega con totale fiducia la conduzione della salita.
Attacchiamo buoni ultimi mentre le altre luci sono già misteriosamente scomparse alla nostra vista. Qualche passo scabroso al buio non aiuta a rilassarmi. Non vedo Pierre, c’è soltanto la corda che scorre. Pierre, col quale mi intendo con pochi termini tecnici imparati in fretta, va al mio passo, non si lamenta, anzi ogni tanto per rassicurami, e magari per rassicurarsi, urla che è ok, che va tutto bene. Nonostante l’apparente superficialità con cui pensava di salire la montagna da solo, devo constatare che Pierre sembra a suo agio. E’ attento, sale con precisione e calma. Sono molto sollevato.
Dopo lo zoccolo iniziale lo sperone si abbatte. Alla sommità ricalziamo i ramponi per attraversare il largo ed esposto Couloir Whymper fino al gran diedro-canale alla base degli omonimi Rochers. Ci sono delle buone tracce, la neve è durissima e tutto tiene. Sta facendo chiaro. Possiamo vederci in faccia e sorriderci, mentre la valle, duemila metri più in basso, è ancora avvolta nella notte.
Il plateau del Ghiacciaio delle Jorasses, sotto il famoso seracco pensile, ci concede un lungo momento di relax. La cresta finale di misto è abbastanza facile e ci conduce rapidamente alla candida calotta sommitale, sospesa sulla vertiginosa muraglia della nord, dove ci riuniamo con il resto delle cordate.
A scendere impieghiamo lo stesso tempo che a salire. Le comunicazioni con il mio compagno, tutt’altro che laconico, mi impegnano quanto i movimenti, in un ambiente reso ora infido dalla neve molle. Scomoda manovra per calzare i ramponi alla base dei Rochers Whymper, in bilico contro una lastra di ghiaccio, assicurati ad un unico chiodo a cui appendiamo attrezzi e sacco. Il traverso del Couloir Whymper è difeso da due crepacci ora un po’ delicati. Al Repoisoir mettiamo giù due doppie nei punti critici.
Il lungo ghiacciaio che fiancheggia La Bouteille, nonostante le evidenti tracce, conserva le insidie di piccoli buchi coperti di neve molle. Chiedo ora a Pierre, piuttosto robusto, di mettersi lui dietro, pronto a sostenere una mia eventuale caduta. Infatti, di lì a poco, entro con tutta la gamba in un buco che mi si apre d’improvviso sotto i piedi. Pierre mi tiene e la corda tesa mi aiuta a venirne celermente fuori.
Poco sopra il rifugio incontriamo Ettore venutoci incontro. Si è ripreso, sta molto meglio. Al rifugio mi levo di dosso il sacco e la ferraglia e li abbandono sul ballatoio della capanna. Mangio qualcosa, abbraccio Pierre, con cui ci siamo scambiati gli indirizzi e che prosegue subito la discesa, e mi butto su una cuccetta, dove mi addormento all’istante. Mi sveglia Ettore poco prima delle 17. Ho dormito appena un’ora, ma dobbiamo ancora scendere a Planpincieux. Dalla ferraglia è sparito il bel martello giallo da roccia e ghiaccio. Pazienza. Un tributo all’impresa.
5-6 agosto 1988

