Mont Maudit, 4465 m. Cresta nord-ovest dal Refuge des Cosmiques (Valle dell’Arve).
Caratteristiche: Ascensione quasi esclusivamente glaciale, su pendii a tratti crepacciati e ripidi, con qualche pericolo oggettivo sotto i seracchi del Tacul e del Maudit. Si svolge in un ambiente magnifico, al centro del gruppo del Bianco. Il ritorno comporta la risalita alla stazione della funivia dell’Aiguille du Midi.
Difficoltà: in buone condizioni PD
Dislivello: 1070 m, contando i saliscendi, più 300 m per risalire all’Aiguille du Midi
Carte: IGM 1:25.000 f. 27, Monte Bianco; IGN 1:25.000 f. 3630 OT, Chamonix; CNS 1:50.000 f. 46, Courmayeur.
Accesso: Aosta, Courmayeur, Tunnel del Monte Bianco, Chamonix, partenza della funivia dei Ghiacciai.
Avvicinamento: La base di partenza senz’altro più conveniente è il Refuge des Cosmiques, 3613 m, cui si giunge percorrendo in discesa la sottile e aerea cresta dell’Aiguille du Midi, 3842 m, raggiunta con gli impianti, poi con lungo spostamento e una breve risalita (0.45 ore). La salita inizia al sottostante Col du Midi, 3532 m.
Salita: Dal Refuge des Cosmiques, 3613 m, scendere sulla vasta spianata del Col du Midi, 3532 m. Seguire la traccia sempre presente della via normale del Mont Blanc du Tacul che, con pendenza crescente (fino a 40°), risale il versante settentrionale della montagna, scavalcando qualche grosso crepaccio, più o meno aperto a seconda della stagione, e aggirando un paio di seracchi. Uscire sullo spallone ovest del Tacul ad una quota di circa 4100 m (2 ore). Oltrepassare il dosso glaciale e, traversando in lieve discesa, toccare il ripiano del Col Maudit (4035 m). Continuare quindi orizzontalmente, transitando sotto dei grossi seracchi, fino al centro della parete nord del Mont Maudit. Volgere a sinistra e superare direttamente un primo muro, poi aggirare un successivo nodo di seracchi, innalzandosi più o meno direttamente, infine, usciti da questa zona, tagliare diagonalmente il pendio (35°-40°), in direzione ovest, puntando alla evidente selletta del Col du Mont Maudit. Oltrepassare la terminale, che in certe annate può presentarsi difficile, e salire il successivo pendio molto ripido, a volte ghiacciato, solitamente protetto da una corda fissa (60-70 m a 50°), per giungere sul Col du Mont Maudit, 4354 m (1.30). Dal colletto seguire la cresta nord-ovest del Mont Maudit, scavalcando o aggirando a destra un paio di facili e bassi gendarmi, collegati da crestine nevose a tratti sottili. Continuare su cresta nevosa fino ai piedi delle rocce finali che si scalano con qualche breve passo di II fino alla esigua vetta del Mont Maudit, 4465 m (0.30-1 ore, totale 4-4.30 ore).
Discesa: Scendere per la cresta sud-ovest, che collega la cima del Maudit al Col della Brenva e percorrerla fino ad una sella dalla quale facilmente ci si collega alla traccia che va al Col della Brenva e al Monte Bianco. Lungo questa tornare al Col du Mont Maudit e da qui ripercorrere la via dell’andata fino al Col du Midi (2.30-3 ore). Dal colle è necessario risalire alla funivia dell’Aiguille du Midi (1 ora, totale 3.30-4 ore).
Il sano e il malato
Tre anni dopo un tentativo abortito al Mont Maudit viene il momento di provare a chiudere il conto con questa bella montagna. Sono di nuovo con Paolo. Come spesso accade non è facile incastrare i due giorni minimi necessari tra gli impegni dell’uno e dell’altro. Questa volta Paolo rientra il sabato da un viaggio di lavoro negli Stati Uniti ed è giocoforza utilizzare per la gita la domenica e il lunedì. Prenoto con il dovuto anticipo al Refuge des Cosmiques per la notte di domenica, trovandovi posto.
Con 9 ore di fuso e fastidiosi dolori addominali subentrati negli ultimi giorni di trasferta, Paolo si presenta puntuale, benché un po’ preoccupato, al nostro appuntamento e alcune ore dopo, tra nebbie che vanno e vengono, iniziamo la discesa dell’affilata cresta dell’Aiguille du Midi diretti al Refuge des Cosmiques.
Il rifugio è delizioso. Di fuori appare come un fiabesco castello nero e azzurro, appollaiato sulla cresta rocciosa e in parte a sbalzo nel vuoto. All’interno è decorato con tinte pastello e motivi floreali sulle travi. Dalla terrazza la vista spazia su tutta la cresta del Bianco fino al placido Dôme du Goûter e sulle colate degli impressionanti ghiacciai di Taconnaz e dei Bossons che si scontrano e si infrangono in miriadi di zollette grigie e azzurre, striate di arancio nella luce radente del tramonto.
Quanto a domani, la colazione è fissata per le 3. Notte pessima, come non mi succede da tempo. Emicrania da scarso acclimatamento o forse per il repentino sbalzo di quota effettuato ieri in funivia. Al suono della sveglia, anche lo stomaco non è a posto. Paolo al contrario appare in ottimo stato. Insomma il ‘malato’ è rinsanito, mentre il ‘sano’ si è ammalato. Rinuncio alla colazione e nei venti minuti in cui Paolo ha la ghiotta opportunità di rimpinzarsi anche con la mia razione, riesco persino a riaddormentarmi. Quando mi chiama, mi tiro su dalla cuccetta e ingurgito una dose di bicarbonato, estremo rimedio per casi estremi. Un primo rutto di conferma e poi dico, poco convinto, ”Proviamo a andare”.
Lentamente scendiamo sul falsopiano del Col du Midi. Nell’avvicinamento al versante nord-ovest del Tacul sento le gambe molli e lo stomaco in disordine. Mentre sul pendio del Tacul si disegnano costellazioni mai viste, con il lento dispiegarsi delle luci delle frontali delle cordate che ci precedono sulla sinuosa traccia della normale, alle nostre spalle il profilo del nero bastione della Aiguille du Midi si staglia nitido e un poco inquietante nel vago chiarore che ormai emana dall’orizzonte nel momento che precede l’aurora.
Onde tenere a freno l’esuberanza di Paolo, mi metto in testa alla cordata. La traccia è una vera e propria pista che, al termine della rampa iniziale, traversa sotto enormi seracchi pendenti e gocciolanti, nella notte senza rigelo. Bello anche il ‘diedro’ formato dal seracco di uscita, tutto ben scalinato. Il sole ci coglie sullo spallone del Tacul, da cui possiamo scrutare il pendio che adduce al Col du Mont Maudit su cui vediamo appiccicati come ragnetti i componenti di due cordate. Quando vi giungiamo, osserviamo che nel muro di neve scavato dal continuo passaggio si è formato un canalino che meglio sarebbe definire un budello ghiacciato, in cui pende una grossa fune bagnata. Nei primi metri il ‘budello’ è quasi verticale.
Attraversata la terminale, ci assicuriamo con il Prusik alla corda fissa e iniziamo a salire. Alle roccette a circa due terzi del pendio, per riprendermi dal fiatone mi appoggio con troppa fiducia a dei grossi blocchi da cui pendono vecchi cordoni sfilacciati e tutto si muove sinistramente: un convincente stimolo per ripartire immediatamente sulla seconda corda fissa che, con pendenze più moderate, conduce al colle. L’improvvisa visione del Monte Bianco, nella luce piena del giorno, mi colpisce come proveniente da un lontano pianeta.
Mi faccio coraggio pensando che mancano soltanto poco più di 100 metri alla vetta. La nostra cresta poi sembra abbastanza facile. Speroncini rocciosi ingombri di pietre mobili si alternano a residue chiazze di ghiaccio sporco. Mentre Paolo ammira il creato, io dedico tutta la mia attenzione a porre i piedi al posto giusto e a ritmare scrupolosamente il respiro, come un principiante, avanzando ben poche energie per alzare anche solo lo sguardo.
Un’estetica crestina nevosa stesa tra due spuntoni anticipa la vetta, un’affilata cuspide rocciosa su cui ci arrampichiamo uno alla volta. Nonostante tutto, ci sono arrivato. Ora alzo la testa. Restiamo alcuni minuti a riposare alla base delle rocce, nel silenzio, con il cielo terso e appena qualche nube bianca a movimentare l’orizzonte sulle cime dei lontani ‘4000’ del Vallese. Poi iniziamo a scendere lungo la normale del Colle della Brenva, compiendo così un anello, e in breve siamo nuovamente al Col du Mont Maudit alle prese con il viscido ‘budello’.
Usiamo naturalmente la grossa fune cui ci assicuriamo con un Prusik. Sento Paolo, sceso per primo, lamentare che il Prusik non scorre e poi lo vedo armeggiare col cordino. Lo svolge, lo riavvolge, lo infila nel moschettone. Dice che è il Marshand. Non sono abbastanza lucido per seguire bene quel che fa, salvo constatare che poi scende fin troppo veloce. Quando lo raggiungo Paolo confessa che forse il nodo non era proprio il Marshand e che ha frenato sostanzialmente con la mano, rischiando di ustionarsi.
Il rientro è lungo. Al Col du Midi mi concedo qualche minuto di sosta dopo avere ingurgitato i resti di un intruglio energetico. Nella faticosa risalita alla Aiguille du Midi, traversando sotto la solare parete punteggiata di scalatori, tra grappoli di coloratissime tendine sparse sull’immenso bonario ghiacciaio, le nuvole ci concedono un po’ d’ombra e, mettendo un passo dietro l’altro, adesso mi sembra perfino di star meglio. Sogno una birra e questo, sì, è proprio un buon segno.
23-24 luglio 2006

