Monte Bianco, 4808 m. Cresta di confine detta anche dei Cosmiques o del M. Maudit (Valle dell’Arve).
Caratteristiche: Ascensione esclusivamente glaciale, di ampio respiro e abbastanza lunga, che si svolge su pendii a tratti crepacciati e ripidi, con qualche pericolo oggettivo sotto i seracchi del Tacul e del Maudit.Remunerativa per la grande varietà del percorso, preferibile alla normale del Goûter perché meno pericolosa e con un dislivello complessivo minore (minore ovviamente anche delle altre normali dal Gonella e dai Grands Mulets). Consente, a chi lo desideri, di salire strada facendo anche il M. Blanc du Tacul e il M. Maudit. La discesa può essere effettuata lungo la stessa via di salita o lungo una delle altre vie normali, ma l’itinerario più logico e remunerativo per l’ambiente glaciale in cui si svolge, è, qualora fattibile (in base all’annata e alla stagione), la discesa per i Grands Mulets qui descritta (qualche pericolo oggettivo sotto i seracchi del Dôme du Goûter e sotto i Grands Mulets). Questa discesa riporta all’intermedia della funivia a Plan de l’Aiguille e quindi a Chamonix da dove si è partiti.
Difficoltà: in buone condizioni PD
Dislivello: complessivamente circa 1450 m, a causa di alcuni saliscendi
Carte: IGM 1:25.000 f. 27, Monte Bianco; IGN 1:25.000 f. 3630 OT, Chamonix; CNS 1:50.000 f. 46, Courmayeur.
Accesso: Aosta, Courmayeur, Tunnel del Monte Bianco, Chamonix.
Avvicinamento: La base di partenza senz’altro più conveniente è il Refuge des Cosmiques, 3613 m, cui si giunge percorrendo in discesa la sottile e aerea cresta dell’Aiguille du Midi, 3842 m, raggiunta con gli impianti, poi con lungo spostamento e una breve risalita (0.45 ore). La salita inizia al sottostante Col du Midi, 3532 m.
Salita: Dal Refuge des Cosmiques, 3613 m, scendere sulla vasta spianata del Col du Midi, 3532 m. Seguire la traccia sempre presente della via normale del Mont Blanc du Tacul che, con pendenza crescente (fino a 40°), risale il versante settentrionale della montagna, scavalcando qualche grosso crepaccio, più o meno aperto a seconda della stagione, e aggirando un paio di seracchi. Uscire sullo spallone ovest del Tacul ad una quota di circa 4100 m (2 ore; da questo punto in 0.45 ore si può salire in vetta al Tacul, 4248 m, proseguendo lungo lo spallone e aggirando il torrione sommitale a sinistra). Oltrepassare il dosso glaciale e, traversando in lieve discesa, toccare il ripiano del Col Maudit (4035 m). Continuare quindi orizzontalmente transitando sotto dei grossi seracchi fino al centro della parete nord del Mont Maudit. Volgere a sinistra e superare direttamente un primo muro, poi aggirare un successivo nodo di seracchi, infine, usciti da questa zona, tagliare diagonalmente in direzione ovest il pendio (35°-40°), puntando alla evidente selletta del Col du Mont Maudit. La salita al colle è spesso difesa da una crepaccia, che in certe annate può presentarsi difficile, e da un successivo pendio molto inclinato e a volte ghiacciato, solitamente protetto da una corda fissa (60-70 m a 50°, 4354 m, 1.30). Aggirare la cresta nord-ovest del Mont Maudit e iniziare un lungo saliscendi sul ripido versante occidentale del monte (dopo un terzo circa del percorso è possibile deviare a sinistra e salire in circa 0.30 ore al Mont Maudit, 4465 m, percorrendo la facile cresta sud-ovest). Al termine del mezzacosta si scende sul Col de la Brenva (4303 m, 0.30 ore). Superare il brusco scalino del Mur de la Cote, a volte con neve ghiacciata, oltrepassare il successivo ripiano e risalire la larga piramide finale, quasi priva di asperità, dove gli unici problemi possono essere dati dalla quota, dal dislivello ancora rilevante (400 metri) e dalla neve spesso ventata. Si esce in vetta scavalcando a volte una modesta cornice (4808 m, 2 ore, totale 6 ore).
Discesa: La discesa qui descritta segue la via dei Grands Mulets che, con le altre vie normali da questo versante, ha in comune la Cresta delle Bosses, facile e soltanto in qualche punto un po’ stretta e ripida. Si passano La Tournette, poi La Petit e La Grande Bosse (le ‘gobbe’ gemelle che danno il nome alla cresta) giungendo allo spuntone roccioso dove sorge il bivacco Vallot (4362 m, 1.15 ore). Da qui abbassarsi fin nei pressi del Col du Dôme, 4246 m, e prima di toccarlo svoltare a destra e scendere sul Grand Plateau (circa 4000 m, tracce sempre presenti nella buona stagione). Attraversato il vasto catino nevoso, si piega a nord e si segue un corridoio che, restringendosi, si affaccia su un ripido pendio, Les Grandes Montées. Discenderlo e attraversare velocemente il successivo Petit Plateau, 3650 m, esposto ai seracchi del Dôme du Goûter (pericolo di caduta di blocchi di ghiaccio). Si incontra un tratto nuovamente a forte pendenza, Les Petit Montées, poi una stretta fascia crepacciata che va superata a ridosso della cresta nord del Dôme, al termine della quale si traversa diagonalmente a destra pervenendo ai piedi del roccione su cui sorge il Refuge des Grands Mulets, 3051 m, visibile già dall’alto (1.45 ore). Sotto il rifugio una zona fortemente crepacciata e ripida obbliga a numerosi zig-zag. Al suo termine, ad una quota di 2650 m circa, volgere in direzione nord-est ed attraversare La Jonction, tratto grosso modo pianeggiante ma estremamente tormentato alla confluenza dei ghiacciai dei Bossons e di Taconnaz, che va percorso contornando o scavalcando costruzioni di ghiaccio le più varie, fino ad uscire, intorno ai 2600 m, nei pressi del canalone che scende dal Glacier Ronde, sul versante occidentale della Aiguille du Midi. Attraversarlo con attenzione (scariche di sassi) e su sentiero portarsi a monte della stazione dei Glaciers della vecchia funivia (2414 m). La traccia prosegue poi pianeggiante fino al piatto Ghiacciaio dei Pèlerins. Attraversarlo (ometti e segnavia) e, ripreso il sentiero, scendere rapidamente alla stazione della funivia di Plan de l’Aiguille (2310 m, 1.30-2 ore, totale 4.30-5 ore).
Il gigante addormentato
Il Bianco, come viene usualmente chiamato il Monte che contende al Cervino l’immagine simbolo della montagna, solletica da sempre la fantasia e le velleità di tutti gli alpinisti, dagli imberbi ai canuti, dai principianti ai più ferrati. Le sue quattro vie normali sono relativamente facili e accessibili, mentre lunghe creste, spigoli, canali e pareti, di splendido granito rosso e ghiaccio verticale, offrono un’incredibile abbondanza di meravigliosi terreni di scalata di crescente impegno che non ha uguali nelle Alpi. Così, su nessun’altra cima come sul Monte Bianco possiamo trovare la stessa quantità di vie firmate dai più celebri uomini della montagna.
Per affrontare il Bianco anche soltanto lungo una delle vie normali ci vogliono determinazione e allenamento, tanto alla fatica quanto alla quota. Giulio e io questo lo sappiamo, quando valutiamo finalmente l’idea di salire il Bianco, meta a lungo vagheggiata in anni di intensa attività insieme. Siamo nella seconda metà di agosto, liberi da impegni vacanzieri e familiari. Messa da parte la via normale del Goûter, anche perché non abbiamo prenotato per tempo il rifugio, ci convinciamo che la cresta di confine, con partenza dal Refuge des Cosmiques, facilmente raggiungibile dall’impianto dell’Aiguille du Midi, sia non soltanto la meno lunga ma anche la meno affollata tra le restanti vie normali. Quanto alla discesa, scartata la possibilità di tornare dalla stessa parte, per l’aggravio di dislivello positivo che comporta, pensiamo alla normale dei Grands Mulets che ha il vantaggio di chiudere l’anello all’intermedia dello stesso impianto dell’Aiguille du Midi.
Durante la preparazione della gita, mentre valutiamo i giorni su cui puntare, si aggiungono Ezio e Pino il postino. Con Ezio ho già condiviso diverse ascensioni di un certo impegno. Pino lo conosco da poco, ma è presto diventato un compagno assiduo e tenace, che non abbandona mai la classica camicia di flanella a scacchi. Entrambi sono allenati e soprattutto entusiasti dell’idea di calcare la vetta del ‘Tetto d’Europa’ al termine della bella cresta che ci proponiamo di scalare. Proviamo a prenotare ai Cosmiques da una settimana all’altra e con sollievo vi troviamo posto.
Dopo la levataccia notturna, marciando meccanicamente in fila indiana con almeno altre settanta persone, attacchiamo lo scosceso versante glaciale del Tacul sotto le cupe ombre dei seracchi. A risvegliare bruscamente tutta la nostra attenzione e le nostre energie ci pensa l’adrenalinico attraversamento di una fenditura piuttosto aperta, dove, in coda, in attesa del nostro turno, ci teniamo buona compagnia con gli altri astanti in tutte le lingue del mondo. Con un’ampia spaccata e l’aiuto della piccozza occorre ristabilirsi su un gradino scavato nel ripido labbro superiore del crepaccio. Qualche brivido percorre la schiena durante il salto, mentre il sottile fascio di luce della frontale falcia repentina l’oscurità.
Passato il collo di bottiglia le cordate si sgranano di nuovo rapidamente e al Col du Mont Maudit, dove saliamo in conserva lungo un pendio-canale perfettamente raccordato, siamo magicamente soli. Qui ci attende lo spettacolo della cupola rosata del Bianco stagliata contro un cielo ancora nero. L’alba che sorge al Colle della Brenva annuncia un giorno radioso senza un refolo di vento. Il Bianco si mostra benigno, come un gigante addormentato.
E’ al Colle della Brenva che comincia il Monte Bianco. Finora abbiamo soltanto scavalcato due montagne per salirne finalmente una. Ed è qui che il gigante addormentato mette timidamente in campo l’unico tentativo per respingere gli assalitori: è il ripido scalino con cui il regolare cono sommitale si spezza in prossimità del colle, il Mur de la Cote, oggi gelato e lustrato dal vento. Ma a facilitare la salita ci sono dei solidi gradini intagliati dalle guide.
Nulla più ci ferma e di buon’ora calchiamo l’arrotondata dorsale di vetta. Da quassù la circolare vastità dell’orizzonte è interrotta solamente dalla candida vela del Colle Major, tesa su due abissi, che collega la vetta del Bianco al poco più basso Monte Bianco di Courmayeur. Nonostante la bonarietà della cima, lo straniamento è un disagio percepito sotto pelle, come fossimo sulla groppa di un vulcano nelle cui viscere ribolle il magma e ciascuno di noi si trovasse da solo dinanzi a qualcosa di selvaggio e forte che, nelle sembianze di un candido vecchio, con sardonico ghigno dica “Bene, benvenuto anche tu”.
Alla maniera delle più belle favole, siamo tutti felici e contenti. Ed è ora di pensare alla discesa. Non sapendo però quel che ancora ci attende: all’incirca sette ore di marcia e concentrazione prima di riabbracciare la comoda funivia e sentirsi finalmente a casa.
Alla Jonction, su uno dei tanti gobboni azzurri e levigati tra cui occorre fare le acrobazie, fidandomi della presa laterale del rampone appoggiato senza troppa convinzione, penso bene di scivolare. Fortunatamente sotto non c’è una voragine ma soltanto una innocua conchetta su cui scorrono due dita d’acqua, dove mi fermo senza danni. Che il gigante addormentato abbia voluto darmi un segno?
20-21 agosto 1993

